Lo pubblica Lindau nel 2016 con il titolo Divagazioni (a cura e tradotto da Horia Corneliu Cicortaș) e rappresenta un evento letterario unico visto che il libro non è stato edito in altre traduzioni, né in francese, né in altre lingue,
Il libro rappresenta lo spartiacque nella produzione letteraria di Cioran che abbandonerà per sempre la sua lingua madre per quella francese.
«Il libro che presentiamo ai lettori italiani è la traduzione del volume Emil Cioran, Razne, a cura di Constantin Zaharia (Humanitas, București, 2012), comprensiva dei relativi apparati critici (prefazione, nota all’edizione e varianti testuali).
Delle 338 note a piè di pagina dell’edizione originale, che segnalano le lezioni varianti presenti nel testo manoscritto di Cioran, abbiamo conservato, traducendole e inserendole in corsivo nelle note, quelle che evidenziavano differenze semantiche o sfumature stilistiche significative, tralasciando invece tutte quelle che rappresentavano soltanto cambiamenti grammaticali minori, i quali perdono inevitabilmente, nell’atto traduttivo, la loro rilevanza». Queste sono le parole con cui il curatore e traduttore spiega ai lettori italiani l’importanza di questo libro – cerniera in cui Cioran ha superato l’orlo del precipizio andando olte e toccando un terreno fertile che si dimostrerà importante per la sua condizione futura di scrittore.
Il passaggio dal romeno al francese, – scrive Constantin Zaharia nella prefazione all’edizione romena- perché di questo si tratta, non è qui annunciato in maniera altisonante, ma lo è certamente in modo discreto. Una serie di costruzioni e forme della frase rivelano in modo evidente l’influenza della lingua francese. A circa trentacinque anni, Cioran inizia a esitare nel trovare la formula più felice per dare vita ai propri pensieri. Si avverte che la punta della penna stilografica vorrebbe scivolare verso un’altra lingua.Come dire che l’episodio Mallarmé a Dieppe non è lontano».
In Divagazioni troviamo un Cioran impegnato a costruire l’universo tematico che comprende la malinconia, la noia, il tempo, osservazioni sulla morte.
Ma soprattutto il suo pensare per paradossi che nasce dalla nuova lingua che abbraccia e in cui decide di scrivere. Il francese che regalerà a Cioran nuovi concetti e libri importanti (decomposizione, squartamento, amarezza, inconveniente) e soprattutto un modo nuovo di scorticare i pensieri e gli suggerirà la strada per continuare a coltivare il suo straordinario «coraggio di disperare» per cui oggi noi lo amiamo.
Nicola Vacca
Noi diamo voce solo a dolori senza nome; gli altri, che formano l’ordito e la trama degli istanti, li gettiamo nella pattumiera dell’evidenza.
Ho accettato la mia fine solo quando sono stato sorpreso da quell’accettazione, che sembrava provenire da una voce estranea al sangue come alla veglia.
Quando si trascorrono giornate intere senza scambiare parola con un essere vivente, quando si dimenticano i propri simili e perfino la condizione umana, l’io si rivela una forza grande quanto il mondo. La conversazione ci offre la misura della nostra piccolezza; la solitudine la intensifica, ma in modo tale che la nostra piccolezza non è minore di quella del mondo.
Certamente la vita non ha alcun senso; ma è ancora più certo che noi viviamo come se ne avesse uno.
Per chi è contagiato dalla malattia di vivere, i rimedi non sono meno dannosi dei veleni, trattandosi sempre di
espressioni e arnesi di questo mondo. Quand’anche fossero di un altro, non c’è cura che possa addolcire quella consapevolezza. Essendo consustanziale all’esserci, quel male può cessare solo insieme a esso. Riusciamo a dimenticarlo solo riposando nella nostra cenere. La tomba è l’unica farmacia della malinconia.
(Da Emil Cioran, Divagazioni, Lindau, pagine 122, € 14,00)