Così Spinoza termina la sua Etica. Immenso capolavoro filosofico dove espone il suo sistema metafisico. Scritta in latino, l’Etica, fu pubblicata ad Amsterdam nel 1677. Lo stesso anno che Spinoza, affetto da tubercolosi oltre che da congeniti disturbi respiratori, trova la morte agli inizi di febbraio a soli quarantaquattro anni.
Qui il libro è proposto dalla Bollati Boringhieri con una presentazione, davvero essenziale e intensa, di Giorgio Colli e nella traduzione di Sossio Giametta.
Oltre che dell’Etica, Bento de Spinoza è autore del Trattato teologico-politico, che assieme alle lettere e ad alcune opere incompiute costituiscono nel loro complesso un punto di riferimento per gran parte della filosofia a lui successiva.
L’Etica richiede lettori non pigri, discretamente dotati e soprattutto che abbiano molto tempo a disposizione, scrive Giorgio Colli. E se le si concede tutto questo, in cambio offre molto di più di quello che ci si può ragionevolmente attendere da un libro: svela l’enigma di questa nostra vita, e indica la via della felicità, due doni che nessuno può disprezzare. Certo non è un libro semplice, quello di Spinoza, tuttavia la grandezza di un sistema è il suo metodo e la sua capacita di cogliere quanto più possibile il senso, l’unità delle grandezze nel grande gioco del mondo e delle sue possibilità d’interpretazione e di nessi infiniti. Qui il rigore è inespugnabile. Il suo è un procedimento di un’esattezza logica e razionale delle più efficaci dai tempi della grande filosofia antica.
E tra definizioni, assiomi, corollari, proposizioni e scolii, non c’è che da perdersi e da rimanere concentrati in maniera inverosimile, ma alla fine il risultato di una comprensione maggiore dell’universo e della mente umana è assicurato. Non solo, la forza dello sguardo di Spinoza, e la sua applicazione nella vita ne fa un filosofo che non concede nulla all’astrusità né alle furberie della mente. Le sue analisi hanno il rigore della geometria. Le sue dimostrazioni hanno la severità di una disciplina della mente fuori dall’ordinario. L’uomo come scrive ancora Giorgio Colli, non si distingue dalla sua opera. L’unico obiettivo della sua filosofia è la ricerca della verità dimostrabile ed eterna. Spinoza accerta come con la ragione, sebbene non sempre adeguata, e con l’intuizione si possa riuscire a dimostrare l’esistenza di Dio. Per sostanza intendo ciò, che è in sé, ed è concepito per sé: vale a dire ciò, il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa, da cui debba essere formato. (Definizione 3, parte prima). Per Dio intendo l’ente assolutamente infinito, cioè la sostanza che consta d’infiniti attributi, di cui ognuno esprime eterna e infinita essenza. (Definizione 6, parte prima).
Spinoza prima definisce. Poi spiega, dimostra e commenta, e il suo criterio è sempre infallibile, sebbene a tratti può apparire contraddittorio, ma non bisogna avere fretta. Alla fine tutto torna in una misura sostanziale e univoca.
Spinoza è unità. Spinoza è natura. – La natura non agisce per un fine, perché l’ente eterno e infinito, che chiamiamo Dio o Natura, agisce con la medesima necessità con cui esiste. – E dove non arriva la mente ci pensa l’intuizione, quella che Spinoza definisce la terza conoscenza. Oltre ai sensi: opinione e immaginazione, alle nozioni comuni e alle idee adeguate delle proprietà delle cose, esiste il sapere intuitivo.
Ed è sbalorditivo quanto semplice l’esempio che ne dà Spinoza. Dati i numeri 1, 2 e 3, tutti vedono che il quarto numero proporzionale è 6, e ciò molto più chiaramente, perché dal rapporto stesso, che con un solo sguardo vediamo intercorrere fra il primo e secondo, concludiamo il quarto stesso. Dio allora non è né personale né trascendente. Deus sive Natura. Dio, in altre parole la natura. Non vado oltre, anche perché sarebbe impossibile declinare un libro così complesso e importante per gli sviluppi del pensiero filosofico moderno.
Un libro che andrebbe letto e riletto sempre, almeno nelle sue proposizioni o assiomi essenziali, se non altro per il grande contributo che Spinoza ha dato al pensiero razionale, alla morale, e perché no a una metafisica declinata in un serrato determinismo logico. Vivere sotto la beatitudine della ragione significa imparare ad agire per sé e per gli altri. Questa è, forse, la lezione più consistente che Spinoza ci lascia in eredità. Ne segue che la natura della ragione è di percepire le cose sotto una specie di eternità.
Salvatore Marrazzo
(Bento de Spinoza, Etica. Bollati Boringhieri, pagg. 251)