Il conflitto tra politico e sociale e il problema della libertà

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La contrapposizione fra politico e sociale assume la forma dello scontro tra autorità e libertà, pertanto una rivoluzione di tipo politico, tale cioè da interessare solo la conquista del potere, assume la veste di una apparente rivoluzione quando si consideri quest’ultima ai fini di un vero cambiamento sociale.

Il concetto di rivoluzione politica non può che essere distorsivo del vero concetto di rivoluzione, poiché la rivoluzione politica non fa altro che ripetere la dinamica sempre identica del rapporto svantaggioso fra società globalmente intesa e lo Stato, tra la forza collettiva espressa dalla società e l’appropriazione generalizzata operata dallo Stato.

È necessario comprendere il concetto del politico senza ridurlo a mero prodotto delle contraddizioni economiche, in modo tale da poter interpretare la logica del potere, sia nella forma generale che in quella particolare.

Lo Stato nella sua forma generale è l’espressione suprema della politica attraverso le sue più potenti articolazioni autoritarie della società gerarchizzata quali: la magistratura, la polizia, l’esercito, la burocrazia ecc.; nella sua forma particolare il concetto del politico si manifesta nell’esercizio del potere ovvero l’autorità ed il governo che la rappresenta.

Dunque non esiste una scienza della politica che in realtà non sia una scienza del potere, le leggi della politica e quelle del potere hanno la medesima sostanza, sono autonome da qualsiasi presunta ideologia, esse si evidenziano come leggi con una propria logica aliena dal contesto socio-economico, anche se ne assorbono la concomitanza storica, le leggi della politica o del potere schiacciano ogni positiva intenzione di riforma dell’esistente, secondo l’immutabile destino che non sono gli uomini a cambiare la natura del potere ma questo a cambiare quelli, poiché il potere si manifesta come un vero diritto di proprietà, un diritto di usare e di abusare, un mezzo di sfruttamento dell’uomo attraverso la forza.

Pertanto voler combattere il capitalismo globale con una nuova alienazione ovvero quella dello Stato, significa commettere un abuso contro un ulteriore abuso, abbattere un assolutismo con un altro assolutismo, è proprio lo Stato non riformato o non riformabile ad assurgere a feticcio del dogmatismo giacobino e del democratismo tecnocratico.

La contrapposizione tra Stato e società ricade nell’ambito più generale dello scontro tra pluralità e unidimensionalità, quindi solo nella società dei produttori-lavoratori che si contrapponga frontalmente alla società dei dominatori è possibile rinvenire quella dimensione pluralista dell’agire sociale quale inconfondibile segno di emancipazione umana, solo in una teoria politica ove trovi spazio l’azione sociale comunitaria quale prassi collettiva di emancipazione vi sono le condizioni necessarie per il raggiungimento della libertà.

Gianfrancesco Caputo

 

(In copertina: opera di Vincenzo Riccio)

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