UNA PARTITA CON LA VERITÀ

Pochi romanzi come La variante di Lüneburg (Adelphi ed.) di Paolo Maurensig sanno tenere il lettore con il fiato sospeso: pochi riescono a trattenere la trama in un equilibrio perfetto tra la vicenda e il suo significato.

Quella che l’autore costruisce con un rarissimo senso delle proporzioni è una storia che avvince e che, allo stesso tempo, sprigiona sottili, sottilissime inquietudini che, pur non sfociando mai apertamente nel disastro, affondano come lingue di fuoco nella materia legnosa della nostra resistenza ad accettare simili vicissitudini morali e umane.

Il gioco degli scacchi è il terreno di un’altra battaglia, feroce quanto quella che è basata su regole del ‘mangiare’ ed ‘eliminare’ pedine.

Accade che Dieter Frisch, sessantenne uomo d’affari e appassionato di scacchi, sia ritrovato morto nella sua villa. Attraverso un lungo flashback al lettore è consentito entrare nella vita dello stesso Frisch affinché possa ipotizzare alcune cause di morte.

Durante un viaggio in treno, la sera del venerdì che precede la sua morte, Frisch sta giocando a scacchi con un suo collaboratore: poco dopo un giovane fa la sua comparsa nello scompartimento.

Sembra che il gioco gli interessi molto: infatti il giovane segue con attenzione la partita. Sarà il giovane, che si presenta con il nome di Hans Mayer, a far sapere ai due uomini con cui sta viaggiando di essere stato un campione proprio in quel gioco. Proseguendo il racconto, Mayer indica in un certo Tabori l’uomo che gli è stato mentore, avendogli insegnato tutto quello che sa sugli scacchi.

Dopo due anni dalla misteriosa scomparsa, cosa che ha causato a Mayer terribili crisi di nervi, Tabori ritorna e annuncia al suo giovane protetto di volerlo adottare, non prima di avergli confidato tutto del suo misterioso passato.

Leggiamo: “Per più di un anno Tabori e io percorremmo in lungo e in largo l’Europa, senza perderci neppure un torneo; e se si dava il caso che ce ne fossero due in concomitanza, sceglievamo, o meglio: Tabori sceglieva per me quello che giudicava più importante. Tabori fungeva da secondo e mi analizzava tutte le partite sospese, preparandomi di volta in volta le varianti da giocare, suggerendomi anche le aperture e le difese da adottare contro gli avversari che dovevo affrontare”.

La storia, allora, apre un nuovo varco temporale e ci lascia affacciare sulla vita di Tabori che, nato in una famiglia ebrea, impara prestissimo a liquidare con straordinarie vittorie ogni partita a scacchi in cui si cimentava.

Questo lo portò ad iscriversi e a vincere i vari tornei a cui partecipava. Fino a quando l’avvento del nazismo e il conseguente antisemitismo non cambiò tutto, penetrando anche nel mondo degli scacchi.

La discriminazione che subì in un torneo dette a Tabori l’esatta prospettiva da cui avrebbe dovuto guardare la vita da quel momento in poi, misurandosi con la più brutale delle società.

A quel primo episodio ne seguirono altri che si conclusero con una deportazione in un campo di concentramento.

In quel luogo di morte, follia e disperazione, Tabori riuscì a restare lucido solo grazie a partite a scacchi giocate contro un immaginario essere supremo.

Quale sorpresa lo colse quando un alto ufficiale nazista del campo lo convocò per giocare contro di lui! Solo Tabori era al suo livello.

Temendo di peggiorare la sua situazione, Tabori non ha il coraggio di vincere e così per tre volte è costretto ad assistere alle terribili esecuzioni di altri internati. Solo al quarto incontro l’ufficiale chiarisce che la posta in gioco sono proprio i prigionieri del campo.

Da quel momento inizia una gara all’estremo delle forze intellettuali e spirituali: non c’è in premio una medaglia, ma ogni volta una vita umana.

Tutto questo dura fino all’arrivo degli Alleati. Solo una volta conosciuto il passato del padre adottivo, il giovane Mayer sente di non avere altro scopo nella vita che quello di vendicarlo. Prima però dovrà prima rintracciare chi gli ha provocato immense sofferenze.

Con una scrittura asciutta e costantemente tesa a illuminare ogni piega della mente e dell’anima, Paolo Maurensig raccoglie le miserie e le meschinità più abiette di cui un essere umano è capace.

Lo fa come se giocasse una delicatissima partita di scacchi: con acutezza, pazienza, lungimiranza per incastrare il lettore in una rete da cui, anche chiuso il libro, non è facile fuggire.

Continuiamo ad ondeggiare su un abisso infernale, incapaci di risolverci a decidere quanto marcio c’è anche in noi, dietro quanta onestà di facciata abbiamo spinto i nostri più orribili segreti.

Leggiamo: “Ma le vere dimensioni dell’eccidio si poterono intuire solo quando furono ritrovati i minuscoli oggetti personali requisiti ai prigionieri nel momento in cui arrivavano, e conservati con cura meticolosa: montagne di occhiali, berretti, fermagli, bracciali, bottoni…e questo era ciò che rimaneva unicamente perché privo di valore. Ancora adesso mi chiedo a volte se qualche soave signora di oggi possa immaginare di portare intrecciati nella sua parrucca i capelli di una morta assassinata o, fuso nel suo prezioso collier, l’oro dei denti strappati a un cadavere”.

Luciana De Palma

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