Il mondo in frantumi

Solo pochi anni fa, nessuno (e forse neanche i principali attori che siedono alla guida della complessa macchina dei poteri e delle decisioni) poteva immaginare un susseguirsi di eventi drammatici come quelli che stiamo vivendo. La realtà e i fatti degli ultimi anni ci stanno consegnando, senza cadere in improduttivi catastrofismi o scellerati negazionismi, un mondo profondamente malato, sia sotto il profilo delle relazioni tra gli umani, che tra gli umani e l’ambiente.

È, pertanto, legittimo interrogarsi, oggi più che mai, sul nostro futuro. Ma il nostro domani è veramente un percorso tracciato da noi stessi, passo dopo passo, cioè dalle nostre azioni quotidiane? Indubbiamente la risposta è sempre affermativa, anche se un luogo comune, che in periodi di crisi si amplifica, è quello di pensare che il domani è determinato da “entità” elette, senza controllo, che decidono paradossalmente le sorti del singolo, dei popoli, del pianeta.

In periodi così incerti, soprattutto da un punto di vista geo-politico, ogni previsione, anche se supportata da realistiche analisi, si rivela un azzardo. Gli eventi stanno avendo una tale velocità di realizzazione che nessuno di noi, comuni cittadini, di fatto, può prevedere cosa accadrà domani, tra un mese o tra vent’anni e più. E se è vero che noi non siamo dei veggenti è altresì vero che per molti anni, chi avrebbe dovuto, non si è occupato, colpevolmente, di quei virus silenti che, quando le condizioni ambientali lo consentono, esplodono in tutta la loro virulenza.

Nel nostro sistema di riferimento “Terra”, alle tante incognite “naturali” se ne stanno aggiungendo tante altre direttamente dipendenti dall’agire degli umani; incognite correlate alle loro politiche sociali, economiche, culturali e ambientali; incognite o parametri che rendono il sistema estremamente complesso e, spesso, di difficile interpretazione.

Gli scenari di questi ultimi anni hanno evidenziato non solo il fallimento progressivo del modello socio-economico di una forzata globalizzazione, ma anche l’incapacità dell’uomo moderno di dotarsi di anticorpi, cioè di quelle alternative praticabili che, in determinate condizioni di devianza dal bene comune, si manifestano e si attuano per non compromettere quanto di buono l’uomo ha fatto in milioni di anni.

Oggi, ahimè, quelle certezze che avevamo anche solo vent’anni fa, cominciano a crollare clamorosamente, sotto i continui colpi di eventi inaspettati; inattesi, ovviamente, solo da molti di noi comuni cittadini, ma certamente prevedibili dai “potenti” del mondo.

Ovviamente, a riguardo, è assurdo maturare idee complottiste; ma risalire alle responsabilità, alle prevenzioni mancate per superficialità e incapacità, è un nostro sacrosanto diritto, se vogliamo riservarci la possibilità di sperare in un mondo migliore.   Certezze che crollano, ad esempio, quando un virus riesce a mettere in ginocchio l’intera popolazione mondiale; e qui non è la scienza sul banco degli imputati.

Anzi, sono  anni  che il mondo scientifico accreditato attenziona  circa le esplosioni di possibili pandemie; disastri  rivenienti principalmente dai cambiamenti ambientali innaturali, provocati  dalla mano antropica dell’uomo che nessuno ha tentato o tenta di fermare; (eppure il corpo umano, dalla sua comparsa sulla terra, ha sempre ospitato microrganismi (virus, batteri, funghi), dei quali, oggi,  si conoscono benissimo le relative interazioni ecologiche, quali il commensalismo, la simbiosi, il parassitismo, e le possibili mutazioni).

Ancora, Le nostre certezze, quelle di coloro che ingenuamente pensavamo che la pace tra i popoli fosse un obiettivo universale, realmente possibile e vicina, crollano di fronte alle barbarie perpetrate negli anni; disastri spesso frutto di volontà folli di “decisori politici”, pronti a scatenare guerre sempre più cruente fino, addirittura, a minacciare l’annientamento totale.

Ma è mai tollerabile che qualcuno, che crede di essere il “padrone del mondo”, abbia concretamente anche solo la possibilità di ricattare l’umanità di una possibile scomparsa, di mettere a repentaglio l’esistenza di milioni di viventi, di compromettere gli equilibri di un pianeta già fortemente febbricitante? Forse è proprio l’idea insana di onnipotenza, cioè di padrone assoluto del mondo, che in alcuni ambienti contaminati dalla sete di potere si sviluppa e matura più che in altri, a minare il nostro buon senso comune, il nostro agire, al punto da condizionarne le scelte più delicate e importanti per gli esseri umani.

Forse, interpretassimo il nostro ruolo più propriamente come custodi del nostro pianeta, la situazione generale sarebbe indubbiamente meno rischiosa di eventi nefasti e, allo stesso tempo, contribuiremmo a concretizzare, giorno dopo giorno, un consolidato rapporto meno problematico tra uomo e uomo e tra uomo e ambiente circostante. Un traguardo ambizioso? Forse, ma possibile.

Per molti anni, infatti non si è lavorato per una crescita complessiva di tutto il sistema terrestre, per una crescita armoniosa e sostenibile che guardasse   contemporaneamente a tutti i viventi e ai rispettivi habitat di ogni regione terrestre. Anzi, si è quasi sempre operato per interessi di parte, il più delle volte nazionalistici.

Ovviamente, uno sviluppo generalizzato non deve essere inteso come   uno sviluppo monolitico del nostro sistema. Sarebbe un’utopia pensare ad un “villaggio unico” che risulterebbe incompatibile e irrealizzabile di fronte ad una realtà complessa e ampiamente differenziata.

Ma un futuro migliore, dove l’obiettivo primario è il bene di tutti, globale appunto, che sappia riconoscere le rispettive necessità e le diversità delle tante regioni della terra, non è un’utopia.

Non vorremmo, nel rispetto delle diversità, ancora annotare differenze abissali di reddito, di accesso al cibo, di stili di vita condizionati dall’assenza di beni e servizi; e soprattutto da enormi sperequazioni culturali.

Insomma una visione molto ampia di un modello correttamente pianificato dove non esisterebbero più fratture tra uomo e uomo, tra uomo e ambiente. 

 Marcello Buttazzo 

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