
Nel giardino del tempo, rose fanciulle, amore, disamore, ebbrezza, dolore, gioia di vivere, incanto, disincanto, le cadute rovinose, le lente risalite.
Nel giardino del tempo, clessidre capovolte a misurare gli istanti eterni, le piccole cose. Il filo d’erba francescano, che verdeggia in un anelito di fotosintesi universale. E poi le storie quotidiane, semplici, lineari, di ordinario accadimento, che sono però sostanziali. Nel mio personale giardino, c’è un amore che scorre. Colori rarefatti del mattino, vigoroso sole del meriggio, crepuscoli d’amarena, luna, stelle. C’è un amore che va e s’addentra nel caos d’intorno, strappa profumi e fiori di campo a un giorno avaro di gioie. C’è un amore solitario per stradine di ciottoli e fango, promesse e rose d’inverno, dove s’incontrano vecchi ricordi, s’inoltrano nuove passioni. Un amore di singulti, gialli gigli farfalle dalle ali d’oro, rammemorato nelle feste d’estate in ondeggianti campi di grano. Un amore, che va e non si cura di noi inconsapevoli passeggeri ai margini d’un sogno.
Nei giardini del tempo, il sogno deluso, frustrato: ciò che importa, in fondo, è il cammino compiuto, anche travaglioso, malagevole. Non raggiungere mai la meta agognata è solo un fatto marginale. Ciò che conta è il percorso onesto, pulito, compiuto. Nel mio giardino d’amore c’è un vento che spettina i pensieri, che carezza le giovani gote e flessuoso danza sulle cime del mandorlo fiorito. Vorrei tanto che questo vento mi portasse la sua voce, sibilo, tormento. Che questo vento mi portasse le piume di cristallo dell’uccello che più non torna. Vento, fai del tempo un’estasi, un tumulto, un gioco vorticoso. E cantami la melodia dei mille violini. Vento, ridammi gli occhi di chi un giorno era la mia alba. Nel giardino del tempo, la terra dei limoni e delle arance del Convento dei frati francescani della mia infanzia, a Lequile. La terra degli ulivi contorti e assolati, laddove guardai nel tuo cielo. Il cielo delle stelle di fuoco. Ti vidi nuda, spruzzata di pioggia.
Tu mi lambivi il cuore e giocavi con la mia vita fatta di niente. Nel giardino di sempre, l’amore nascosto che ti ronza come un insetto. L’amore impetuoso, biancazzurro come mare d’inverno, che stilla rossori e viole d’incanto. L’amore che sai riconoscere fra le fitte foglie che stormiscono al buio di immense sconfinate foreste. L’amore come vento d’agosto stremato dalle lunghe attese. L’amore canto di cicale in campi sfiancati dall’estate. L’amore intravisto sotto segreti velari e poi miseramente svanito. Quest’amore che sa di fuoco e ciclamini, che sa di sale e miele, di luna e violini. Quest’amore…
Dovunque tu sia
ricorda che la rosa
non ha perché: essa sboccia,
cresce, fa effluvi di sé
nei tormentosi giardini della passione.
La rosa piccola e rossa non s’interroga
sul perché della sua essenza odorosa.
Rosa è l’amore di gioia e spine
l’amore dei crepuscoli screziati
d’un ardore di fuoco.
Rosa è la beltà del cielo Lapislazzulo
è il profumo delle notti custodi dei sogni.
Rosa è questa vita
che al baluginare dell’aurora
ricomincia l’eterna corsa,
senza chiedersi perché.
Marcello Buttazzo