“Ferite nella memoria” di Giuseppe Battaglia: l’arte del riempire le fessure del divenire

Nascita e morte: in mezzo il tempo e tutto ciò che esso comporta.

“La nascita è dura lezione” scrive Battaglia nella poesia d’apertura alla raccolta. Ed è come se mettesse un punto, come se ponesse nero su bianco il primo fondamentale assioma della vita. La nascita, questo “inconveniente” – per dirla con Cioran – è la prima ferita inferta dal tempo, lo squarcio originario che consente di passare dal nulla all’essere.

Dopo la venuta al mondo, si apre di fronte all’uomo il mare dell’incertezza, nel quale dovrà dimenarsi per stare a galla fino all’ultimo respiro.

Quello del dubbio è uno dei temi fondamentali della raccolta di Battaglia; è dubbio tutto ciò che si estende tra la vita e la morte, e quest’assenza di certezze, che ha sapore amaro (“L’incertezza/ più del fiele/ ha sapore di amaro”), si fa tutt’uno con la realtà esterna al poeta, incorporata come stato d’animo. L’acqua, ad esempio, diventa spesso metafora di consolazione irraggiungibile: “Stese le ossa/ sul secco/ torrente/ suppliziati/ dalla calura/ aspettano l’acqua”.

Chi? Il lettore si potrebbe chiedere. Ma in questa, come in altre poesie della raccolta, il soggetto è sempre lo stesso, unico e perfettamente individuabile anche quando non espresso: l’essere umano, il poeta come uno tra tanti.

Sullo sfondo di molti dei componimenti è possibile individuare anche un riferimento insistente alla figura di Cristo, che in questi scritti non fa pensare tanto al Cristo-Dio, quanto al Cristo-uomo, essere umano sofferente, tradito e crocifisso dai suoi simili, da coloro che egli aveva chiamato fratelli (“Imbucata/ in una ultima cena/ è la gravidanza/ del tradimento”).

Con un verso spezzato, ridotto spesso al minimo, Battaglia simbolizza anche nella forma la condizione alla quale fa riferimento, quella della ferita, della lacerazione che separa l’essere come pure le parole. I versi di questa raccolta sono dunque specchio perfetto di ciò che descrivono: sono ferite aperte sul foglio bianco, il testo stesso è corpo frammentato e sanguinante (“Gocciola sangue/ dalla penna”).

Su questa strada disconnessa e pericolosa dell’esistenza al “poeta di vita” tocca muoversi, consapevole a ogni passo che il baratro potrebbe aprirsi ai suoi piedi. Questo cammino è il divenire, tempo intermittente, non lineare, al quale l’uomo è chiamato a dare una coerenza fittizia.

“Sulla ferita/ del ramo spezzato/ l’amara colla/ in silenzio/ riempie/ le fessure/ del divenire” scrive Battaglia. Si tratta di un lavoro certosino, che impegna la coscienza e va fatto principalmente sulla memoria.

Da psicoterapeuta, l’Autore non ignorava certo quanto potesse essere malleabile e in continuo mutamento la memoria. Ogni uomo, in fondo, riscrive la propria storia attraverso il riempimento, la saldatura, la cancellazione e l’invenzione di immagini mnestiche che, in definitiva, hanno spesso la stessa consistenza dei fantasmi. Un insieme monolitico di ricordi coerenti è pura illusione.

La memoria ha ferite aperte che la coscienza ininterrottamente cerca di ricucire. Che non ci riesca mai del tutto è un dato certo, è la condanna che ognuno ha ricevuto alla nascita insieme con la vita.

Angela Nese

(Giuseppe Battaglia, Ferite nella memoria, L’Argolibro editore, pagine 62, € 12,00)

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