Rumore del tempo nella memoria: trasformare l’acido in canto

 

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Quando la poesia riflette su se stessa finisce inevitabilmente col riflettere sulla vita; in altri termini il poeta che giunge a interrogarsi sulla propria natura, sul ruolo della propria arte non può che domandarsi quale sia il senso del vivere, perché se – come dice Giuseppe Battaglia, in una delle poesie iniziali della raccolta Rumore del tempo nella memoria (L’ArgoLibro Editore, 2019) – “la vita/ contiene segreti/ inespressi”, il poeta è colui che è chiamato a portare alla luce tali segreti, forse non a svelarsi, ma quanto meno a indicarli e a portarli all’attenzione degli uomini.

È su questa strada che si muove Giuseppe Battaglia con la sua raccolta, addentrandosi nel nucleo profondo delle cose, puntando alla cruda realtà nel suo divenire. Per sua stessa missione, il poeta deve calarsi nel mondo, perché egli è “elemento/ della natura” che “immerso nell’acido/ respira emozioni”.

Per un miracolo tutto terreno, il poeta è capace di respirare laddove l’aria è irrespirabile, acida, ma di quell’acido riesce a fare canto. Egli sa che la trama del mondo è irrimediabilmente esposta alla corrosione e il grande “corruttore” non può che essere il tempo; “Col suo canto/ il tempo/ divora la vita” scrive Battaglia, e più avanti “Con l’indice/ tocco/ un colore/ sospeso/ mentre incerto/ vivo/ l’incubo/ della/ trasformazione”.

Il cambiamento inarrestabile, attraverso il quale il tempo si manifesta, è vissuto come un incubo, un tormento; aleggia come un’ombra sull’intera raccolta e al lettore sembra quasi di sentire i tonfi del progressivo deterioramento delle cose che cedono.

È soprattutto nella memoria, però, che tale rumore si manifesta, cioè quando il poeta volge lo sguardo indietro e finisce per posarlo sui suoi stessi versi, unici reduci di una realtà che non è più.

In fin dei conti è il tempo stesso a cantare, inarrestabile, ma solo in pochi sanno prestargli ascolto. Giuseppe Battaglia lo fa, sebbene più volte ci dica che non è affatto facile; il canto, talvolta, resta “appeso al muro/ non prende forma”: il rumore non riesce a divenire immagine, ma la ricerca del poeta non si ferma, è un continuo star dietro al lavorio del tempo.

Si tratta, senza dubbio, di una lotta impari, ma chi scrive sa che non si può non tentare, sa che è l’unica strada percorribile per districarsi dal fango dell’esistenza.

Dunque Battaglia risponde all’incubo della trasformazione restituendo al divenire le immagini di quello che è stato distrutto, dando a esse nuova vita. Questo processo non è indolore, egli sa bene che “La poesia/ non cancella/ l’inquieto/ dolore/ dell’essere/ in divenire” e  che, al contrario, il poeta reca con sé un’inaudita sofferenza, a causa di quella continua immersione nell’acido.

I suoi occhi bruciano, sanguinano, ma egli continua a scrivere.

Angela Nese

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