La parola e la sua visione laica

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Per afferrare il valore di questa raccolta poetica bisogna per prima cosa capirne bene il titolo: “Almeno un grammo di salvezza”. Un’esortazione, richiesta o preghiera, in cui è sottinteso il verbo, dammi/concedimi, e omesso chi sia colui che chiede e chi sia nel potere di concedere. Durante la lettura proverò a far venire alla luce questo interlocutore.

Si fa riferimento a un grammo di salvezza, ma quanto è grande un grammo? Niente, badate, viene lasciato al caso, quando si tratta di uno specialista della parola qual è Nicola Vacca e dunque, anche in questo caso, la parola ‘grammo’ deve avere una sua peculiarità, se deve servire a spiegarci ciò di cui abbiamo bisogno, quel minimo, per raggiungere la salvezza. Ne analizzo l’etimologia, troppo semplicistica la corrispondenza a un millesimo di chilogrammo, a qualcosa di infinitesimale, forse la più piccola quantità che l’occhio nudo sia in grado di percepire: non mi basta. Scopro che gramma/grammo deriva dal greco γράμμα (gramma), che significa: 1. Scrittura, segni di scrittura, caratteri. 2. Pittura, dipinto, disegno. 3. Scritto, trattato, libro, lettera, documento, conto, registro. Grammo definiva il segno inciso sulla bilancia, ma il suo significato era più ampio della semplice unità di misura di un sistema atto a stimare il peso delle cose concrete. Il peso delle cose… La parola grammo racchiude in sé il mondo delle parole, dei disegni e dei conteggi, quindi della cultura e di conseguenza della sapienza, della curiosità, dell’apertura mentale. Forse sta lì il segreto della salvezza? La salvezza ha due significati: uno generico, che la definisce liberazione da condizioni indesiderabili o di pericolo, e uno religioso, strettamente legato alla fede, secondo la quale per i cattolici Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. (Gal. 6,7-8).

Sappiamo che Nicola Vacca è un poeta dalla visione laica della realtà, tuttavia ha sentito il bisogno di indagare le sacre scritture, e non si è trattato di un accostamento superficiale, bensì di uno studio approfondito, protratto per circa un anno, eseguito sui testi dell’Antico Testamento, del pensiero filosofico e mistico, e attraverso conversazioni con biblisti. In tal modo l’autore si è appropriato di un alfabeto pienamente all’altezza di una Poetica del Pensiero, in grado di meditare sull’uomo non inteso solo in quanto entità fisica, ma anche nel suo bisogno di spiritualità e religiosità.

È l’Antico Testamento a ispirare il linguaggio poetico dell’autore e non poteva essere diversamente, dato che è in quei testi che viene attribuito a Dio, il Dio Creatore, la piena responsabilità di aver creato sia il bene che il male. In particolare nell’Ecclesiaste o Qoèlet viene esasperata la contrapposizione tra bene e male, in una sorta di dialettica volta a comprendere a cosa serva fare l’uno o l’altro. L’attribuzione di quella responsabilità consentirà al poeta di rivolgersi direttamente a Dio o di nominarlo nei suoi versi diretti, rivolgendogli domande antiche ma eterne, in una sorta di provocazione/denuncia non sempre scevra da sfumature di scetticismo, tendente al chiarimento.

 

Anche Dio sa

che il vuoto esiste. (“Coscienza del vuoto”, pag.23)

Questo lungo lavoro di studio e ricerca mi ricorda, per associazione di idee e fatte salve le evidenti differenze, le motivazioni che portarono Alessandro Manzoni, insoddisfatto della prima stesura de “I promessi Sposi”, a trasferirsi a Firenze per sciacquare i panni in Arno, per l’adattamento e l’arricchimento linguistici necessari. Nicola Vacca ha già in sé tutte le domande e gli argomenti, ma ha necessità di tradurli nel linguaggio della meditazione e della trascendenza, pur rimanendo in una posizione di equilibrio con la propria laicità. Per questo studia un linguaggio nuovo, che gli permetta di coniugare il verbum cristiano con quello etico-filosofico e poetico.

Come afferma Gianfrancesco Caputo che firma la preziosa prefazione all’opera, “Nicola Vacca con la sua poesia ci fa scoprire il vero rimedio contro l’angoscia provocata dal divenire del mondo: la redenzione dell’uomo come affermazione della santità della vita, attraverso l’appartenenza che significa avere gli altri dentro di sé, così almeno un grammo di salvezza ci sarà concesso dalla preghiera che apre la mente.”

Il risultato cui è giunto il poeta Nicola Vacca è il punto di convergenza tra cattolicesimo cristiano e pensiero laico illuminato. Perché, se la salvezza non può essere qualcosa da guadagnarsi vivendo in modo egoistico, è altrettanto indubitabile che l’unico modo per ottenerla è mettere al centro l’altro o meglio la coralità di intenti, il noi, attraverso l’attenzione e l’ascolto, ponendosi come obiettivo la costruzione congiunta del bene. È conseguenziale l’assunto l’amore salva, come epitome della silloge e dell’intera opera poetica di Nicola Vacca, che si tratti di amore di coppia o di amicizia, mediante la condivisione sincera, l’ascolto, il dialogo, l’attenzione. Ci vuole coraggio per credere all’amore, in questi tempi oscuri e cattivi. Molto più coraggio che abbandonarsi alla decadenza sterile.

 

La luce e le tenebre

si attraversano con l’amore

spiegazione di tutto

che dona un senso all’universo. (“La grazia è nel senso”, pag. 45)

Dopo queste dovute considerazioni sulle motivazioni che hanno condotto l’autore a strutturare questa silloge, ciò che conta per il fruitore è il valore e la bellezza di quelle poesie, che sia egli laico o credente, raffinato intenditore o profano. Ecco, qui dentro c’è tanta bellezza.

Il verso libero, sempre lontano da rocamboleschi artifici, raffinato, elegante, di grande profondità è la cifra stilistica dell’autore. La poesia di Nicola Vacca evoca immagini concettuali che ne trascinano subito altre con sé, in una illuminazione del pensiero volta all’ispirazione e alla riflessione. Il verso non si adagia mai nell’inutile esercizio contemplativo, i suoi canoni di bellezza non possono essere limitati, e non lo sono, alla sola estetica, ma tendono all’armonia tra significato, emozione e forma. In più vi ritroviamo quasi sempre un concetto spiazzante, politically incorrect, che destabilizza l’equilibrio precostituito, che scardina e sbaraglia l’obsoleto modo tradizionale di poetare, stabilendo al centro il concetto, l’idea, l’intuizione geniale.

 

Si scrive per riempire un vuoto

ma anche per trovare un posto

a quelle parole che non ce l’hanno. (“Lieto fine”, pag. 14)

Alcune parole non sono chiare

e altre non saranno mai pronunciate (“Alcune parole non sono chiare”, pag. 17)

 

Si fa fatica a entrare in una parola

quando hai davanti l’inferno di una stanza

piena di scatole in cui non sai cosa conservare. (“Lettere a nessuno”, pag. 50)

Trascrivo di seguito una poesia i cui versi sembrano rappresentare il senso di “Almeno un grammo di salvezza”. E non credo di sbagliarmi se attribuisco all’intera opera di Nicola Vacca questa accorata esortazione rivolta all’Uomo, a non perdere più tempo nel fare altro che non sia costruire Amore. Un incitamento a trovare nei momenti più bui la forza per una rinascita spirituale rivolta ai credenti e ai non credenti, laddove Dio rappresenti in qualche modo l’equilibrio dell’universo.

 

“La notte di Dio” (pag. 22)

Abbiamo bisogno di mani che stringono mani

di abbracci che si svenano

per sopportare il calice delle amarezze

che di giorno in giorno si riempie.

Sono piccoli gli amori

dentro le vite che perdono terreno.

La demolizione è iniziata su questa terra

dove le cose urlano il loro sgretolarsi.

I demoni non sono inutili

quando i tormenti aiutano a scalare montagne.

La sofferenza ti fa capire se ti piomba addosso

che non puoi sprecare l’amore

per cui sei chiamato a vivere.

Per questo forse abbiamo anche bisogno

della notte di Dio

per seminare le lacrime.

E la notte di Dio non sempre è oscurità.

Nell’ultima parte della raccolta intitolata “Oggi, il sottosuolo e l’apocalisse” i versi si fanno più sferzanti, più amari e intensi.

 

Non c’è nessuna cognizione per tutto questo dolore che ci insegna a vivere. (“C’è poco spazio per i sogni”, pag. 57)

Nessuno, proprio nessuno, sopravvive

a un coltello piantato in gola. (“L’Umore nero delle lesioni”, pag. 59)

Le domande si sono suicidate

per mancanza di scettici. (“L’ultimo punto interrogativo”, pag. 61)

In conclusione, tornando al quesito iniziale (a chi ci si rivolge per avere quel grammo di salvezza?), mi sento di poter affermare che quel destinatario non sia Dio. Non sarà la fede religiosa a liberare l’uomo dal male, semmai sarà l’uomo stesso, o meglio il suo lato spirituale, etico, civile, umano, lo renderanno abbastanza coraggioso da combattere i meccanismi che gli impediscono di guadagnarsi la salvezza. Quel verbo non è dammi/concedimi, ma cerchiamo/costruiamo insieme (almeno un grammo di salvezza). La parola poetica percuote, frusta l’ignavia umana, si fa critica feroce verso lo spreco di tempo e di amore, verso l’avarizia di sentimenti, verso l’ipocrisia, le ingiustizie, verso un mondo privo di valori, verso la stupidità del niente creduto tutto.

Luisa Bolleri

(Nicola Vacca, Almeno un grammo di salvezza, L’Argolibro editore, pagine 61, euro 14, http://www.largolibro.blogspot.it,  largolibro@gmail.com)

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