La letteratura tra il tempo e l’esistenza

copertina-nese

Il libro scritto da Angela Nese Del tempo e dell’esistenza (L’ArgoLibro editore), è una splendida concatenazione di racconti che convergono sui temi annunciati fin dal titolo del libro, argomenti di non poca difficoltà e di grande spessore filosofico. Il lettore è portato alla riflessione sul tempo e sull’esistenza attraverso i racconti che l’autrice ci offre non attraverso un noioso saggio accademico dall’effetto letargico, anzi, la lettura della trama dei racconti che si incasellano l’uno nell’altro, risulta godibile e facile ma di grande profondità.

Nel racconto La condanna di H. di fronte al Tribunale del Tempo possiamo leggere: la pena che dovrai scontare, per aver condotto una vita che hai creduto perennemente affetta dalla mancanza di tempo, è l’immortalità” , in questo passaggio è racchiusa tutta la tragedia della modernità di fronte allo scorrere e alla gestione del tempo, la struttura sociale e di produzione attuale quantifica il tempo in termini economici senza lasciare scampo al tempo individuale, la conseguenza è l’annullamento del tempo naturale a beneficio del tempo di produzione ovvero del tempo profittevole, l’individuo e la sua coscienza si annullano per mancanza di tempo, giusta dunque la condanna all’immortalità che in fondo è una metafora del desiderio di consumo infinito. Proseguendo nella lettura del racconto si legge: vivendo fino in fondo ogni goccia del proprio sé il tempo gli sarebbe bastato, nessuna eccedenza di vivibile avrebbe superato il tempo della sua vita. Comprese quale follia fosse stata quella di desiderarne di più.” Quest’ultima intensa riflessione è la perfetta sintesi di un percorso che porta il protagonista del racconto ad uscire definitivamente dall’illusione della voglia del tempo infinito in quanto mancante, riportandolo al definitivo epilogo della sua maledizione ovvero la morte.

Il racconto appena descritto ha valenza solo paradigmatica per introdurre le ricadute di carattere filosofico che tutto il libro ci pone in merito al tempo e all’esistenza, è quasi impossibile non fare riferimento al fondamento ontologico originario dell’esistenzialità per Heidegger che è la  temporalità, infatti la struttura esistenziale permette di essere e di percepire la costituzione ontologica del suo poter-essere-un-tutto che per Heidegger è l’essere-per- la -morte,  perché  soltanto  nella  prospettiva  della  morte,  come  possibilità finale e ultima esclusivamente personale, l’esistenza può comprendersi come un tutto nelle sue tre dimensioni temporali di passato, presente e futuro.

Nella percezione del fenomeno del suo essere-per-la-morte all’esistenza si offre anche l’ambito in cui può riprendere la possibilità dell’esistenza autentica. Per Heidegger, l’esistenza può essere autentica se è suscettibile di essere chiamata coscienza. Essa non è da intendere come un’istanza morale, psicologica o trascendentale. La coscienza consiste per Heidegger in un  appello  che  si  rivolge  all’ esistenza caduta  nell’esistenza inautentica, il  sentirsi  fuori dal mondo  è  un  modo  fondamentale  dell’essere-nel-mondo che nell’esistenza inautentica è percepito nella coscienza  provocando  una  situazione  di  angoscia.

 La coscienza si rivela come risveglio nell’angoscia dinanzi al nostro essere-avanti-a-noi-stessi. La morte è la possibilità limite perché è la possibilità in cui non c’è più nessuna possibilità; è la possibilità dove l’esserci si avvede del suo essere se stesso, perché è questo che viene attraversato dalla morte. Dinanzi alla morte si percepisce la caduta di significato del mondo, con l’assurdità dell’esistenza inautentica si raggiunge la consapevolezza della possibilità del poter-essere più proprio, proprio perché la morte è la possibilità dell’impossibilità.

La conseguenza del non tener conto della consapevolezza di vivere una esistenza inautentica, dovuta al tempo monetizzato e profittevole, è la realizzazione di ciò che Nietzsche definiva “l’ultimo uomo”: l’ultimo uomo non cerca grandi idee, né coltiva desideri eroici, deluso si accontenta di ciò che ha; applica la sua intelligenza per sopravvivere il più confortevolmente possibile e per il maggior tempo. Ci si trova davanti ad una modalità di assimilare l’esistenza nella temporalità,  caratterizzata dall’uomo deluso che ha perso la speranza di una via d’uscita. Cinismo e furbizia che nascono dalla paura di confrontarsi con se stessi, oppure una cultura istituzionale e prona al potere che si prende gioco, dall’alto delle sue cattedre, di ogni pretesa di ideali o speranze di orizzonti più grandi. Dunque si perviene all’abbandono totale dello sforzo esistenziale in se stessi, un’assimilazione dell’esistenza nella temporalità che porta ad allontanare qualsiasi volontà di un’affermazione forte di libertà o della libertà, ma il libro di Angela Nese fa riflettere proprio sull’affermazione della vera libertà dell’individuo in quanto essere finito e perciò autentico: “ Non siamo realmente noi se non quando, mettendoci di fronte a noi stessi, non coincidiamo con niente, nemmeno con la nostra singolarità (E.M.Cioran, La caduta nel tempo).

Gianfrancesco Caputo

(Angela Nese, Del tempo e dell’esistenza, L’ArgoLibro editore, pagine 118, euro 12)

Lascia un commento