Peter Handke e l’angoscia

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Prima del calcio di rigore libro che, a quasi cinquant’anni dalla sua uscita, non smette di colpire duro per la sua lucidità, per la sua quasi minimalista capacità di raccontare tutta la paura di vivere, l’angoscia del vuoto, l’alienazione. Questo libro porta con sé, in ogni riga, in ogni pagina, tutta la “poetica” di Peter Handke dimostrando che se l’ansia è un eccesso di futuro, l’angoscia è un eccesso di realtà, un eccesso di significato. Un mettere in evidenza collegamenti che non ci sono, anticipazioni impossibili di gesti, letture ossessive di particolari che, in realtà, sono solo caos e casualità. Proprio come prima di un calcio di rigore: “Il portiere si domanda in qual angolo l’altro tirerà,” disse Bloch. “Se conosce il tiratore, sa quale angolo si sceglie di solito. Può darsi però che anche l’incaricato del calcio di rigore calcoli che il portiere ci pensa. Quindi il portiere pensa che oggi, per una volta, il pallone arriverà nell’altro angolo. Ma se il tiratore continuasse a pensare insieme al portiere e decidesse quindi di tirare nel solito angolo? E così via, e così via.”

C’è, in queste righe tutto il senso di oppressione di questo libro, da molti considerato un thriller e che, invece, è uno stillicidio di attimi, oggetti, parole. Joseph Bloch, ex portiere, si trova così, all’improvviso, senza lavoro. Da questo evento comincia il suo vagare senza meta, quasi sincopato, per una Vienna defilata e grigia. Non è la Vienna a cui si pensa di solito ma una porzione di città periferica, fatta di luoghi e situazioni provvisorie e di passaggio. In questa insistita provvisorietà e mancanza di senso, Bloch ucciderà, senza motivo, la ragazza con cui ha passato la notte.

Ma se questo è forse l’unico “episodio” che potrebbe far parlare di un thriller, è paradossalmente lo stesso episodio che smonta la logica del thriller introducendo l’assoluta aleatorietà del gesto in sé e di tutto ciò che ne consegue. Handke mette insieme una trama-non trama in cui stasi e movimento si alternano in quello che appare come un ininterrotto piano sequenza, fatto di pensieri ossessivi, domande e dialoghi in cui nessuno parla e nessuno ascolta davvero.

Bloch agisce e si muove come se si vedesse agire e muoversi, in una realtà in cui tutto assume una oggettivazione parossistica: ogni oggetto diventa qualcosa dai contorni nitidissimi, talmente nitidi da perdere importanza. Bloch si muove nella più totale solitudine, in uno stato di perenne incertezza e percepito accerchiamento in cui tutto, per lui, diventa una pericolosa allusione a sé stesso, un rimando a ciò che ha fatto e a ciò che dovrebbe fare.

Un libro questo Prima del calcio di rigore che usa la ripetizione quasi come un mantra, un’ipnosi ossessiva in cui la realtà, gli oggetti e le parole arrivano proprio con la stessa tensione paranoica di un tiro in porta. Che può arrivare da qualunque parte. Un libro in cui il tempo viene sospeso e distorto, in cui l’Altro viene assunto come fosse una sostanza addomesticabile, prevedibile. Per questo Bloch proverà disgusto, nausea, fastidio. Bloch più che vittima della realtà, ammesso che esista, è vittima dell’interpretazione della realtà. E, forse, il vero delitto è questo.

Geraldine Meyer

3 pensieri su “Peter Handke e l’angoscia

  1. E’ la stessa angoscia che si prova quando finisce un periodo della propria vita e ci si trova davanti a un vuoto che sembra incolmabile. Si comincia a vivere in un presente onirico dove non si riconoscono i gesti e i pensieri che prima erano finalizzati e ben definiti. E’ il limbo, la mancanza di senso, la vacuità di un presente sfumato senza nessuna idea di un futuro. Veramente angosciante.

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