Massimiliano Santarossa racconta Michel Houellebecq

sottomissione

(Oggi esce  Sottomissioneil nuovo romanzo di Michel Houllebecq, il più politicamente scorretto degli scrittori europei che da sempre racconta con crudeltà il viaggio al temine della notte del nostro Occidente. Per una serie di circostanze il libro è uscito in Francia lo stesso giorno dell attentato a Charlie Hebdo. Anche questo libro è un nuovo capitolo del crollo dell’ Occidente. Nel libro Houllebecq ipotizza una Francia governata da un presidente musulmano. Lo scrittore è stato costretto a lasciare Parigi.   Non possiamo permettere che si verifichi un altro caso Rushdie. Non possiamo più tollerare l’intolleranza dei barbari. La libertà di espressione e di opinione  non possono essere minacciate a morte da nessuno. 
Un romanzo non cambia la storia e Houllebecq ha il diritto di scrivere quello che vuole. Viva la libertà. Massimiliano Santarossa  ci racconta  Sottomissione .Lo ha fatto ieri sulle pagine culturali del Messaggero Veneto, ma qui  ci regala una nuova versione più approfondita. Ringrazio di cuore Massimiliano per questo contributo e soprattutto per la sua lettura onesta dell’opera di Michel Houllebecq)

Parigi. Mercoledì 7 gennaio 2015. 8:30 del mattino. Le librerie della capitale, come tutte le altre librerie di Francia, aprono al pubblico. Nelle vetrine e sugli scaffali hanno appena esposto le copie del romanzo più atteso dell’anno, di cui l’intero paese parla da settimane: “Sottomissione” di Michel Houellebecq.

Passano poche ore. Alle 11:30 due terroristi mascherati e armati di Kalasnikov irrompono negli uffici del settimanale “Charlie Hebdo”, invocano Allah, «vendetta, vendetta per Allah», insistono a urlare. Ciò che accade pochi istanti dopo è noto al mondo intero. Un massacro. Una carneficina. L’attentato terroristico più violento da decenni a questa parte in Francia.

Cosa lega “Sottomissione” il romanzo di Michel Houellebecq alla rivista satirica “Charlie Hebdo” è una vignetta in prima pagina, dove lo scrittore viene ritratto come un visionario, e la visione è quella di una Francia «sottomessa all’Islam».

Nella stessa giornata arriva la notizia che lo scrittore è messo sotto scorta armata, che ha interrotto la promozione del libro, che si è allontanato da Parigi, probabilmente abbandonando il paese.

Oggi “Sottomissione” (Bompiani, 250 pagine, 17,50 euro, traduzione di Vincenzo Vega) esce nelle librerie italiane con al seguito l’enorme clamore di questi giorni.

Ma mettiamo in chiaro da subito una cosa fondamentale: è un errore etichettare questo romanzo, come da più parti fatto, come un’opera in difesa dei valori occidentali, l’autore ha più volte detto, l’ultima proprio in questi giorni, che non si riconosce in nessun modo negli «ideali di quest’epoca», e non è nemmeno un’opera gratuitamente polemica, anche su questo punto fa chiarezza estrema: «non scrivo per polemizzare, scrivo per dire ciò che l’essere umano è diventato».

In maniera del tutto onesta il grande scrittore francese ha proseguito un percorso di narrazione dell’Occidente, «dell’uomo occidentale», delle sue paure, delle sue immani fragilità, della sorda e muta violenza che compie puntualmente verso se stesso e verso ciò che lo circonda: la propria nazione, il proprio continente, il mondo intero.

Houellebecq è nato nel 1958, si sente completamente figlio e vittima del Sessantotto che spesso torna nella sua opera sotto vari aspetti, diretti e meno; i contrasti furiosi con la madre, donna visceralmente sessantottina, scaturiscono nell’infanzia e nella prima giovinezza e ne segnano la vita e pertanto le future scelte letterarie.

Ha esordito prima come poeta e di seguito come scrittore negli anni Novanta pubblicando “Estensione del dominio della lotta”, con tutta probabilità il più lucido romanzo sulle storture del mondo del lavoro contemporaneo, sull’impossibilità di affrontare ogni tipo di produzione restando pienamente umani, mettendo in scena un trentenne analista programmatore in una società di informatica, dall’esistenza indifferente fatta di viaggi d’affari, tensioni nervose e prigioni insuperabili innalzate dall’amore e dal sesso irrealizzati, punti fissi nella narrativa di Houellebecq. Un romanzo epocale che è innanzitutto una educazione alla non-vita, alla noia, all’indifferenza di una intera generazione, la sua, ma anche quelle future.

Ha proseguito con “Le particelle elementari”, l’opera che lo ha proiettato nell’olimpo della letteratura mondiale, ritratto di vita di due fratelli tra loro diversissimi, Michel e Bruno, i suoi personaggi indiscutibilmente più riusciti, entrambi legati da sofferenze profonde, abbandonati dalla madre proprio come accaduto all’autore, scienziato glaciale il primo e schiavo di pulsioni sessuali il secondo; assieme compongono il ritratto lucido e drammatico di quanto le scelte della vita possano incidere a fondo l’animo; entrambi figli dell’ambiente che li circonda: un mondo di abbandono, dominato dal caso, dove i desideri sono solo dei prodotti pubblicitari, televisivi, irreali, quanto la vita. Ne esce un’opera assoluta: sguardo distaccato e reale sul corpo agonizzante della società attuale.

Di seguito dà alle stampe “Piattaforma nel centro del mondo”, mette così l’Europa davanti alle proprie brutalità compiute dal turismo sessuale, dallo sfruttamento barbaro che frotte di uomini, spesso anziani, compiono su giovanissime ragazze tailandesi, usate e abusate come fossero il pasto quotidiano di una fame sessuale e di potere insaziabile, indicibile, “la fame dell’Occidente”. Tutto viene visto, vissuto e registrato dagli occhi di Michel, un quarantenne alle prese con la decadenza del proprio corpo, intento a fondare con la sua nuova compagna Valérie «l’unico paradiso terrestre possibile»: una rete mondiale di villaggi turistici del sesso libero, della prostituzione legalizzata. Pagine di una drammaticità totale, in quanto cinica e ironica, un viaggio  nei meandri del consumismo erotico, sulle nuove frontiere del commercio degli esseri umani.

Con “La possibilità di un’isola” arriva al suo apice, tratteggia il futuro dell’umanità continentale attraverso una lunga e approfondita analisi sulla clonazione umana, sui neo-uomini, sulla perfezione fisica e mentale raggiungibile unicamente nella solitudine totale, invoca il superamento dell’uomo a opera dell’uomo stesso, unico momento di coraggio puro che potremmo avere, come ipotizza l’autore, tanto da portarlo a sostenere che «la clonazione ci sarà. Certe cose sono irreversibili. Tutto quello che la scienza può permettere sarà realizzato, anche se ciò modifica profondamente quello che noi consideriamo oggi come umano, o come auspicabile».

Nel 2010 con “La carta e il territorio” torna a rivolgere la propria attenzione alla Francia, in particolare alla vita metropolitana sprofondata in storture quotidiane, attraverso la voce di Jed, un giovane artista legato al poco che gli resta della vita: piccoli, piccolissimi atti quotidiani come la rottura della propria caldaia che lo ossessiona per mesi e mesi, la vita dentro le minuscole mura di casa dalle quali ormai fatica sempre più a uscire, i quadri che non riesce più a portare a termine, il rapporto con ciò che resta del proprio quartiere e il dialogo gelido e irrealizzato con un padre noto e stimato architetto, per poi vivere di colpo un successo dirompente e inatteso come artista e la conseguente esplosione della ricchezza, l’amore vero per una donna, la morte che inizia a circondarlo e infine l’avvento di uno scrittore che si prenderà la scena della parte finale della sua vita e del romanzo: Michel Houellebecq stesso, in una narrazione a più piani, tra l’autobiografia e l’invenzione visionaria.

“Sottomissione” è pertanto il punto di arrivo di una intera vita letteraria. È il punto di arrivo del percorso dell’uomo occidentale da sempre studiato e descritto da Houellebecq. Possiamo dire la fine di quell’uomo e in lui la fine dell’Occidente stesso, dei diritti e delle libertà.

Il protagonista è un professore universitario quarantenne, Francois, chiuso in se stesso, totalmente incapace di amare, infelice, bevitore e cinico, quindi tipico protagonista letterario alla Houellebecq; un uomo che potrebbe sentirsi realizzato, ma che invece è infelice alla radice, incapace di ogni riscatto intimo, un uomo che si affonda da solo, ma nemmeno per scelta, piuttosto per definitiva incapacità alla felicità. Vive in un paese che odia, che non riconosce, nel quale ormai non si identifica da anni, anzi da decenni, da sempre, sentendosi figlio illegittimo dei suoi luoghi. Nel 2022 assiste alla vittoria politica del nuovo partito dei “Fratelli Musulmani”, i quali arrivano al governo della Francia grazie all’alleanza con quel che resta del Partito Socialista e del Centro politico, tutti guidati dal musulmano moderato Mohammed Ben Abbes, contro lo strapotere di Marine Le Pen.

Nel romanzo Michel Houellebecq, con la sua solita visione staccata e a tratti ironicamente cinica, descrive una Francia che si arrende «dolcemente all’Islam». Il paese delle libertà, la culla dell’illuminismo, è dipinto come una nazione sfinita da decenni di immobilismo politico, sociale, economico, da valori inesistenti, schiacciato da una razionalità esasperante, dove la ragione e la laicità divengono motivi di profonda debolezza e tristezza. Tanto da condurre il protagonista, per motivi di convenienza, a seguire il destino della maggioranza della popolazione: la conversione all’Islam.

Scenario da estrema fantapolitica, ovviamente. Ritratto di un popolo “sottomesso”. Temi usati con enorme sapienza dallo scrittore francese per sollevare il dibattito su ciò che a lui interessa da sempre: “la morte dell’illuminismo”.

«L’umanità è fatta così, tutto qua», diceva Houellebecq una decina di anni fa.

“Sottomissione” è il romanzo più importante di questi anni, tutto qua, dico io.

Massimiliano Santarossa

http://www.massimilianosantarossa.com

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