ANNA FREUD: UN RITRATTO

Una biografia raccontata in forma di romanzo ha il vantaggio di aprire varchi di conoscenza e di interesse che supportano visioni ampie e dinamiche sulla vita e sul pensiero del protagonista.

Nel suo libro Berggasse 19 Una donna di nome Anna Freud (Les Flaneurs ed.) l’autrice Lucrezia Lombardo intreccia fatti, avvenimenti e pezzi di storia con pensieri, considerazioni, punti di vista che hanno animato l’esistenza di una donna, quella di Anna Freud appunto, il cui cognome deve aver avuto un peso enorme, nel bene e nel male, nella ricerca di una identità che fosse unica e preziosa, senza per questo che fossero rinnegate le poderose radici da cui la sua pianta è nata.

Di Anna Freud sono seguite le tracce, dall’infanzia all’età adulta, di un percorso di vita per certi versi eccezionale: è dalla sua stessa voce che ascoltiamo lo srotolarsi di una vicenda personale e professionale in un periodo storico in profondo mutamento.

Sono gli anni che videro stravolgimenti politici, sociali e culturali di cui fino a poco prima non molti sono stati capaci di prevedere l’arrivo e ancora meno le conseguenze.

L’ambiente è quello colto e dinamico di una Vienna d’inizio ‘900 quando, dopo aver iniziato a mettere da parte le macerie del decrepito impero Asburgico, si posero le basi di una furiosa rivoluzione artistica che avrebbe sovvertito l’ordine costituito e le ammuffite tradizioni.

In questo contesto che fremeva affinché alle nuove prospettive fosse dato modo di trovare applicazioni pratiche e larga diffusione, sobillando gli animi dei pensatori più arditi e degli intellettuali più sovversivi, si mossero Sigmund Freud e sua figlia Anna ai quali sarà sempre riconosciuta la lucida determinazione nel cercare una crepa nel muro attraverso cui vedere oltre il velo del perbenismo e delle ipocrisie.

Nella prefazione Valentina Di Corcia scrive: “Una mente visionaria, per alcuni, una donna sfacciata e scandalosa per altri, Anna Freud ha precorso i tempi per idee e stile di vita. La sua è stata una rivoluzione tout court: oltre a un’evoluzione nella psicanalisi, ha coinvolto la sfera più intima della sua vita, quella sentimentale. Mossa da una sana curiosità, desiderosa di proseguire il lavoro del padre, ma allo stesso tempo impaziente di affermare le proprie teorie, Anna si è spinta oltre la bolla sicura e dorata delle certezze, del comodo pensiero borghese e spesso ciò ha provocato frizioni con i colleghi della Società Psicoanalitica, quasi tutti uomini”.

Il libro è pensato in forma di una lunga lettera che Anna Freud scrive a Dorothy Burlingham, sua collega e compagna di vita.

Con uno stile curato e attento sia agli aspetti sentimentali quanto a quelli intellettuali, Lucrezia Lombardo ci avvince in una narrazione sobria e appassionata che ci conduce attraverso le scoperte, le lunghe fasi di una incredibile formazione umana e professionale, i successi e le dispute, i timori, le sperimentazioni, le condivisioni e le sofferte solitudini di due persone che hanno rafforzato il legame di parentela con processi di studio e ricerca che hanno aperto mondi e conquistato universi.

Leggiamo: “Mentre ti scrivo questa lettera, mia cara amica, i miei occhi si velano di lacrime leggere e nella mia mente riappare tutta l’intensità di quegli anni indimenticabili, in cui prese forma una vera e propria rivoluzione, che avrebbe impresso un segno indelebile sul corso della storia, non solo della nostra. Mio padre, il dottor Freud, era un uomo generoso e gentile e lo dimostrò immancabilmente anche nella premura con cui ti accolse. Ricordi?”.

La lettura ci coinvolge e ci affascina perché sentiamo che, al di là dei nomi importanti che hanno echi nelle nostre menti per averli incontrati almeno una volta nella nostra vita, in queste pagine ci sono rivelate esperienze spirituali di rara complessità e importanza.

Partecipiamo alle fasi di maturazione di Anna Freud come donna e come psicanalista che, partendo da un punto privilegiato, sa conquistarsi la sua zona d’azione in cui le indagini su campo e le teorie messe continuamente alla prova diventano le sponde solide di una vita spesa per la scienza.

Il coraggio e la volontà di non lasciarsi trascinare dal già detto e dal già visto o peggio dalla paura di frantumare il già detto e il già visto hanno connotato sempre lo spirito di questa donna che nel libro di Lucrezia Lombardo dice di sé: “Ho conosciuto decine di altre donne – amiche, cugine, conoscenti – convinte, come mia madre, che la loro realizzazione personale consistesse nel diventare, al più presto, chiocce al sicuro di quattro mura nel quartiere più lussuoso di Vienna. La mia infanzia, cara Dorothy, si è svolta in gran parte nell’isolamento di giochi immaginari, che montavo e smontavo all’aperto, poiché mi sentivo a disagio con le altre bambine, alle quali mia mamma mi paragonava di continuo: loro vestivano di bianco e io mi cambiavo di nascosto i pizzi con cui mi addobbavano per indossare un’accozzaglia di colori; loro sedevano a tavola fingendo di essere delle signorine, mentre io amavo rotolarmi per i campi e scappare di casa”.  

Non c’è modo migliore per conoscere qualcuno che fermarsi ad ascoltare come abbia affrontato i dolori, i dubbi, i crolli, le difficoltà che ne hanno costellato i giorni perché tutto dipende non da quante volte si cade, ma dal modo in cui ci si rialza.

E Lucrezia Lombardo con quest’opera ci ha consegnato un ritratto nitido e spavaldo di una persona che con tenacia superò le insidie del suo tempo senza mai rinunciare ad essere ciò che era: una donna e un’intellettuale che fu orgogliosamente l’una e l’altra cosa nello stesso momento, nello stesso respiro.

Luciana De Palma

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