PIÙ DELLA VERITÀ PUÒ LA MENZOGNA

La scrittura di Junichiro Tanizaki è sempre così diretta e chiara che impedisce al lettore di tergiversare con qualunque tipo di scusa o di giustificazione per non affondare, insieme ai protagonisti delle sue storie, nei gorghi più melmosi della propria coscienza.

Nel romanzo La croce buddista (Guanda ed.), pubblicato in Giappone tra il 1928 e il 1930 a puntate su una rivista, una vicenda d’amore diventa terreno di bugie, sotterfugi, finte gravidanze, furti appositamente inscenati, recriminazioni e manipolazioni a beneficio di una realtà che altrimenti sarebbe rimasta al di sotto della convenzionale demarcazione tra lecito e illecito.

Protagonisti sono due donne e due uomini che si ritrovano invischiati in alterne fortune sentimentali, dopo che tra le due donne è scoppiata una reciproca attrazione.

La storia è raccontata in prima persona da Sonoko, donna sposata, ma scontenta del suo matrimonio che conosce e s’innamora della bellissima Mitsuko.

Questa, però, inganna l’amante poiché le nasconde una tresca di lungo corso con un uomo, Watanuki.

Nel momento in cui il marito di Sonoko viene a sapere in quali burrasche amorose è finita sua moglie, ha inizio una spirale di menzogne che, per essere credibili, devono aggrapparsi a mezze verità, a patti firmati con il sangue, a fughe e nascondimenti continui.

Leggiamo: “Ci scambiavamo ormai apertamente messaggi e lettere che prima tenevamo segreti, e io lasciavo sul tavolo le lettere di Mitsuko, appena aperte. È vero che mio marito non era uomo da leggere di nascosto la corrispondenza altrui e potevo stare tranquilla; prima, invece, dopo aver aperto le lettere, le nascondevo in fretta in un cassetto del canterano, che chiudevo a chiave… Capivo che, in questo modo, presto o tardi, tra me e mio marito sarebbe scoppiata una tempesta ancora più violenta, ma per il momento eravamo più a nostro agio di prima, io ero sempre più infatuata, ero divenuta schiava della passione”.

Il dolore si mescola all’egocentrismo, la paura alla vanità, la passione all’apparente rispettabilità: con raffinata pazienza Tanizaki ci fa avanzare a passi lenti, ma inesorabili dentro la verità di quello che succede quando la passione fa arretrare la coscienza, relegandola a mera forma.

La fragilità dei personaggi è evidente: nessuno ha la capacità di resistere all’onda sentimentale che finirà per travolgere in modo definitivo e infelice ognuno di loro.

Si infrangono le regole, non tanto per cercarne altre con cui costruire qualcosa di buono e di meritevole, ma per far prevalere solo i propri desideri, la propria arroganza.

Ci si sente smarriti dentro un agire folle, un pensiero macabro, un vivere a strappi e morsi.

Qui lo scrittore giapponese entra nelle lucide perversioni che muovono la mente quando in quest’ultima torreggiano solo falsità e ipocrisie.

Leggiamo: “Lei si sentiva la donna più bella del mondo, era superba e si sentiva triste se non c’era qualcuno ad adorarla. Pensava di svilirsi abbassandosi ad iniziare lei il corteggiamento. Perciò, per farmi ingelosire e per mantenere la sua posizione privilegiata e la sua supremazia, si era servita di Watanuki”.

Avanzando nella lettura, diminuiscono i punti di luce e diventano predominanti quelli di buio, ma sono proprio questi a mostrarci la terribile verità che riguarda ognuno di noi: non ci sono possibilità di salvezza quando la falsità, l’egocentrismo e le bugie infarciscono i giorni, i pensieri, le azioni e persino il respiro.

Sembra smarrirsi con sempre maggiore velocità il significato di un destino da realizzare in base a principi etici o scelte consapevoli; ogni volta le motivazioni dei personaggi finiscono per tradire bisogni molto più ordinari e spregevoli.

Nessuno mantiene l’iniziale parvenza di onestà, nessuno si salva con un atto di generosa nobiltà.

Tutto è meschino, tutto è brutale, tutto continua all’infinito a sporcarsi: nessuna redenzione sarà possibile.

Maschere e finzioni la fanno da padrona non solo nell’invenzione narrativa, ma anche e di più nella realtà che ci accomuna. È questo il tema su cui Tanizaki vuol farci riflettere.

La distruzione intellettuale e spirituale è un movimento perpetuo che coinvolge tutti. Resistere alle seduzioni di ciò che inganna la coscienza è impresa impossibile e faticosa tanto che le ragioni del proprio comportamento sono svilite di fronte all’impellenza di grette necessità sempre più pressanti.

Tra queste pagine il lettore fluttua come una piccola barca in mezzo al mare in tempesta. Lo sa, ma non può fare a meno di abbandonare la barca prima che sia approdata in un porto.

La verità è a portata di mano, eppure sempre sfuggente. E questo accade soprattutto quando siamo noi a volerle sfuggire.

Luciana De Palma

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