Dentro la poesia di Stefano Modeo

Partire da qui (Interno Poesia 2024) è un libro senza mezze misure: la parola poetica nasce edulcorata per poi prendere forza e vigore, fino a divenire materia ardente tra le mani.

Con questa nuova prova poetica, Modeo si conferma tra le voci più alte tra le nuove generazioni di poeti, con una scrittura asciutta e limpida, capace di essere uno e centomila per grado di immersione e deflagrazione della realtà.

L’autore scava dentro le sue ferite per mostrarci le nostre, come la “…la lama del coltello segnò / la gola magra dell’agnello”.

Proprio Macelleria è una delle poesie che più scuote il lettore per la sua crudele lucidità, per la visione quasi fatalistica della realtà umana: oggi siamo la mano del boia, domani spettatori addormentati, infine l’agnello, senza che nessuno se ne importi “…ma le bestie… sanno il futuro… per questo dell’uomo non se ne curano”; così tutto tornerà ciclicamente ad essere ciò che siamo, visione spenta, macellazione, attiva o passiva non importa.

I temi che contraddistinguono la poesia di Modeo sono la nostalgia, non solo nel capitolo ad essa dedicato, ed il tempo. L’autore, infatti, tende ad attualizzare stati d’animo e sensazioni quasi pasoliniane (contrapposizione tra progresso e sviluppo, malinconia verso un futuro sgretolante) di un mondo andato e sempre presente, quasi se ci fosse, in ogni suo verso, un prima e un dopo, un inizio che non diventerà mai una vera fine, né un domani da conquistare.

L’emblema di questa dicotomia è rappresentato dalla città di origine – e di costante approdo – dell’autore: una Taranto dall’identità ancestrale, quasi spettrale, sospesa tra un passato sempre presente e un presente che non smette di passare, come le controre tanto declamate da Bodini.

La poesia di Modeo è una poesia fatta di prue, coltelli, pance dei pesci, reti, timoni, boe e fari, come se egli stesso fosse la rincarnazione di Ulisse sulle rive della sua città “…e se decidi di tornare a Itaca / augurati che sia lunga la strada …” e “…se la troverai povera, non è Itaca che ti ha ingannato, / Ora sei diventato sapiente, e hai tanta esperienza / che avrai capito, ormai, cosa significano le tante Itache” (cit. tratta da Itaca di Kavafis, ed. Garzanti).

La forza della poesia di Modeo sta proprio nel suggerire rimandi e collegamenti con l’intero cosmo poetico, con una puntuale descrizione dei paesaggi dell’animo umano nella sua più profonda essenzialità.

Modeo è un autore che vive la poesia tutti i giorni (non soltanto scrivendola) e raccoglie per noi lettori i germogli della sua condizione poetica, quel continuo minare il terreno per farci emergere, come boe, verso l’ignoto.

Francesco Cagnetta

Due mari

Lungo la linea dei due mari, la città

s’arrocca in una nuvolaglia grigio-scura.

I delfini a volte arrivano sino alle boe

sotto i piloni, dove il sole

fa il cielo arancione. Strano,

è solo un giorno senza vento, scandito

dall’andamento delle auto. Ma un legno

s’è appruato su una roccia

sottraendosi all’approdo – non c’è suono

nel ventre del golfo, solo il coro

stridente dei gabbiani.

Risale per le vie una verità,

un risentimento delle case,

delle strade. Ma la speranza

non si prende i suoi torti,

restiamo ostili con desiderio

se il vento riprende, nostro tormento.

Macelleria

La lama del coltello segnò

la gola magra dell’agnello.

Poi l’esofago, il budello,

la colonna. Per l’antica festa

si assicurarono che il cervello

fosse intatto nella testa.

Dicono che mentre sgolava

alla corda, il cuore sia esploso

nel petto e non abbia sofferto.

Ma le bestie, si crede in paese,

sanno il futuro, per questo

dell’uomo non se ne curano.

Dal vagone

Salgono uomini dagli occhi sfiniti

e leggono e dormono abbracciati

al sedile. Non abbiamo malinconia

ma c’è il tramestio delle rotaie

e lo spazio della pianura nel vetro,

un pane senza sapore all’improvviso.

È questa smorfia che fai, una disputa

che mina, che tutto frana nel silenzio

ad avvelenare l’aria del vagone. Pensi:

non basterà un viaggio per raggiungerli,

spiarli dai vetri infranti pizzicarsi il mento,

un gesto d’affetto – mentre guardi il vento

ingrossare, saperli camminare rasente il mare.

Va bene, adesso il mondo è fermo. Il treno

in corsa liquida le forme in un luogo alieno.

Ma qualcuno è sfuggito sulle labbra come

le punte degli scogli segnino un confine.

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