Iperborea pubblica La prima volta che il dolore mi salvò la vita, un volume che raccoglie i tre libri di poesie che lo scrittore ha dato alle stampe tra il 1988 e il 1993.
Per Stefánsson la poesia non rispetta le regole, è un gatto che non si lascia addomesticare mai del tutto.
La voce che troviamo nella sua poesia è irriverente, disarmante, immediata e ironica.
Un minimalismo disincantato in cui il poeta si immerge per scorticare la vita, senza orpelli e senza alcuna finzione.
La scrittura punge, fa male arriva sempre al cuore delle cose senza cercare scorciatoie.
Il poeta edifica discorsi sulle macerie dell’essere umano. La sua poesia non cerca il senso della vita, anche perché non è facile trovarlo.
Davanti ai suoi occhi passa una luce che porta dentro di sé un mondo infinito di deserti che si devono attraversare con la coscienza sempre vigile.
Attraverso una metafisica del dolore Stefánsson cerca tutte le poesie che ci sono nella vita, scava nei giorni manomessi e quello che trova è la materia immanente di un divenire che si schianta nel palpabile silenzio del sonno.
È notevole il pessimismo della ragione di questo straordinario poeta che sul suo taccuino annota come in un diario interiore il giorno che sbatte la portiera abbagliato dal suo stesso chiarore.
La prima volta che il dolore mi salvò la vita è il preambolo a Grande come l’universo, il romanzo più noto dello scrittore islandese.
Le due narrazioni coincidono, i mondi sono gli stessi, raccontati e attraversati senza la pretesa di trovare una morale.
«In momenti come questo / non mi viene in mente niente / la vena è spenta / no in momenti come questo / non mi viene in mente niente / o forse l’unica cosa che mi passa per la testa / è sparare all’eternità».
Gli occhi del poeta e del romanziere sono gli stessi e lo sguardo è fisso sulla poesia di questo nostro tempo a cui la luce inquieta ha strappato ogni significato.
Nicola Vacca
(Jón Kalman Stefánsson, La prima volta che il dolore mi salvò la vita, Iperborea, 287, € 17,50)