La storia estrema di un naufragio

Due volte al mese Galla, quattordici anni, percorre su una bicicletta sgangherata la strada che separa il liceo dove studia da interna, in città, dalla casa dei genitori, una fattoria isolata circondata da boschi e paludi. Galla non ha molto fiato, il suo cuore è ipertrofico, ma la corriera costa cara, ed è già tanto che i suoi le abbiano permesso di proseguire gli studi. Finché un sabato, in preda ai sensi di colpa per aver litigato con la madre, Galla decide di tornare con una settimana di anticipo. È notte e fa freddo, Galla indugia in cortile, quasi timorosa di entrare in casa, quando a un tratto la porta si apre e sulla soglia compare il padre, che invece di accoglierla la scaccia via con un perentorio “Vattene!”.

Inizia così “Giorno di vacanza”, opera prima della scrittrice di origine italiana naturalizzata francese Inès Cagnati, uscita in Francia per la prima volta nel 1973 e tradotta da Lorenza Di Lella e Francesca Scala per Adelphi nel 2023, cinquanta anni dopo. Scopriremo tuttavia che quel sabato libero dalla scuola non sarà un giorno di riposo ma imporrà a Galla, protagonista e voce narrante del romanzo, una separazione, un commiato definitivo.

Mentre vaga attorno alla casa sperando che la madre o le sorelle si accorgano di lei, Galla riflette, dialoga con sé stessa, passa in rassegna gli episodi più dolorosi della sua vita travagliata, segnata da lutti e privazioni, si interroga sul difficile rapporto con i genitori, un padre rozzo e manesco e una madre amatissima ma debole, sfinita dalla miseria e dai troppi parti, che reclama attenzioni continue, restia a lasciarla andare per la sua strada e tuttavia incapace di farla sentire desiderata, compresa, sostenuta. Una madre che avrebbe voluto che Galla non andasse al liceo per restarle sempre accanto, che si inventa mille astuzie per trattenerla, che ogni domenica, quando la figlia si prepara a tornare in città, piange e si dispera, come se si ostinasse a vedere in lei nient’altro che un’appendice di sé stessa, e non un essere umano autonomo e indipendente. A differenza della cagnolina Daisy, che fa salti di gioia ogni volta che la giovane padrona torna a casa ma si sforza di dissimulare la tristezza quando la vede ripartire, e che quella notte le offre riparo nel giaciglio di paglia che condivide con il suo cucciolo, dormendo accanto a lei come la più amorevole delle madri.

Né va meglio al liceo, dove Galla è emarginata da studenti e professori non solo perché indigente e figlia di immigrati, ma anche per un carattere ruvido e scontroso e un modo tutto suo, lucido e tagliente, orgogliosamente eccentrico, di vedere le cose. Emblema di questa diversità è il grembiule verde che Galla si è cucita con le sue mani, recuperando un vecchio abito, e che indossa in luogo dell’uniforme rosa dell’istituto. Solo Fanny, solare e benvoluta da tutti, mostra di apprezzarla e di volerle bene, e tuttavia neppure quell’amicizia basterà a farla sentire accettata. Galla non appartiene né alla città né alla campagna, e il suo andirivieni dall’una all’altra in sella all’amata bicicletta esprime anche il tentativo di tenere insieme due mondi opposti, due parti inconciliabili della sua identità. Straniera ovunque, straniera anche a sé stessa: quando si guarda allo specchio non si riconosce, quando canta la sua voce le sembra quella di un’altra. L’unico modo per trovarsi, e per trovare il proprio posto nel mondo, sarebbe sbarazzarsi di quell’estranea, “perderla, far finta di dimenticarla, come ci si dimentica di un cane o di un gatto che non si vuole più, e poi andare lontano lontano per impedirle di raggiungermi”, ma in quel giorno di vacanza, che segnerà un punto di non ritorno, il suo tormentoso, struggente desiderio di fuga e riscatto dovrà fare i conti con un’amara rivelazione, rischiando di naufragare per sempre.

Con uno stile asciutto ma poetico, di grande impatto emotivo, Inès Cagnati racconta una storia estrema che fu in parte anche la sua: figlia di contadini veneti emigrati nel sud ovest della Francia negli anni Trenta, nata in un paesino del dipartimento del Lot-et-Garonne, l’autrice sperimentò sulla sua pelle la sofferenza, il senso di isolamento e di esclusione che attraversano le pagine del suo primo romanzo e le opere successive, come dichiarò lei stessa in un’intervista del 1989: “Eravamo sporchi e mal vestiti, non parlavamo francese. A scuola maestri e allievi mi picchiavano perché ero diversa. Soffrivo e mi vergognavo. Colpevole di essere povera. Colpevole di essere altro”.

Paola Vagnozzi

(“Giorno di vacanza” di Inès Cagnati, traduzione di Lorenza Di Lella, Francesca Scala, Adelphi 2023)

Lascia un commento