NELLA POESIA UN DESTINO DI SOLITUDINE E GRANDEZZA

La pazzia è sempre stata la ragione per la quale in vita sono stati denigrati, offesi, derisi, rinchiusi in manicomio quegli artisti capaci di sguardi acuti e di prospettive taglienti e che, poi, dopo la morte sono stati esaltati, osannati, celebrati fino alla più nauseabonda delle ipocrisie.

Non c’è pittore, poeta, scrittore, musicista nella cui arte non sia stato trovato il germe di una follia che li ha fatti precipitare in un discredito penoso agli occhi della società consumata dall’appiattimento e dalla pedissequa ripetizione del passato.

La notte della cometa, Rizzoli edizione, romanzo‒verità dello scrittore Sebastiano Vassalli, pubblicato nel 1984, segue le vicende del poeta Dino Campana, soprannominato ‘il pazzo’: dalla prima infanzia sino al ricovero in manicomio e alla morte sono portati alla luce i rapporti complicati e contradditori con la famiglia e con la scuola, con i compaesani e con la maggior parte di quelli che incontrò nella sua vita.

L’unico momento in cui Campana poté sentire sulla sua pelle il calore della serenità fu quando, partito da Marradi, suo paese natale, tentò di inserirsi nell’ambiente colto dell’epoca, contraddistinto da nomi importanti quali Soffici, Papini, Aleramo. Fino ad allora su di lui erano stati scaraventati disgusto e avversione, in primis da sua madre che per tutta la vita non fece altro che cercare di liberarsi di lui.

Tanto breve, però, fu quella sensazione di calore quanto fu prolungata l’esistenza domata con il fuoco della repulsione e sottomessa ad una visione distorta che di Campana ebbero sempre coloro da cui fu circondato.

Sebastiano Vassalli, dopo essersi lungamente documentato e aver studiato con cura e attenzione le carte relative al ‘caso Campana’, dopo aver frequentato archivi e biblioteche, raccolto testimonianze scritte e orali, riesce a restituire al lettore un ritratto completo e onesto, furiosamente appassionato e commosso, senza mai indulgere nel romanticismo. Alla fine gli ha restituito la sua unità di uomo e di poeta.

Vassalli scrive che non ha “mai creduto, nemmeno per un attimo, nella favola del “poeta pazzo”. Questo è il suo punto di partenza per raccontare la storia di un ‘demente’ (così fu definito dai suoi concittadini) perseguitato dalla famiglia, dall’intera cittadina, dalle autorità di polizia, persino dalla comunità scientifica e infine dalla società letteraria.

Sono ancora di Vassalli queste parole: “Ma se anche Dino non fosse esistito io ugualmente avrei scritto questa storia e avrei inventato quest’uomo meraviglioso e ‘mostruoso’, ne sono assolutamente certo. L’avrei inventato così”.

Di Dino Campana emerge un destino tragico ed esemplare: la sua vita fu quella di un reietto nella cui anima ruotava un universo dalle proporzioni inimmaginabili che non trovò mai spazio tra le miserie dei suoi contemporanei. La sua energia, intellettuale e creativa, bruciò i suoi giorni così come azzerò le possibilità di essere felice.  

Ciò che emerge è più di una biografia: è una tragedia greca con tanto di coro e di Erinni funeste.

Diverso perché incompreso e incompreso perché diverso, il poeta Campana prova ad arginare il dolore dell’isolamento che gli è stato scaraventato addosso con la forza delle parole che lo proiettano in un’eternità che ha messo radici nella sua carne, nelle sue ossa, nella sua anima.

Il lettore avverte sofferenza e soprattutto rabbia, leggendo pagine dense di incomprensibile rifiuto verso un bambino e poi un uomo che non poteva essere altro se non se stesso, se non onestamente dedito al disvelamento di un mondo infarcito di ombre e appesantito dalle menzogne.

Più di tutto fu il mondo dei letterati a ripugnare Dino Campana.

Leggiamo: “Le traversie di Campana coi letterati fiorentini iniziarono nell’ottobre del 1913, dopo che lui ha ordinato e trascritto in bella copia ‘su carta da minestra’ le poesie e le prose messe assieme nel corso di dieci anni, e solo ha lasciato in sospeso il titolo: che sulla sinistra del frontespizio è ‘Il più lungo giorno’, mentre sulla destra è ‘E come puro spirito verso il ponte’.

Canti Orfici, opera che lega il nome di Campana ad un’ingrata fama postuma, verranno stampati a Marradi a spese dell’autore il quale, a proposito del manoscritto, scrive all’amico Bandini: “Esso testimonia qualche cosa in mio favore, forse testimonia che io non ho meritato la mia sorte”.

Dopo aver cercato invano qualcuno che fosse disposto a pubblicarli, scopre che la sua opera è stata editata con censure arbitrarie e con l’inserimento di versi fuori contesto; allora chiederà al fratello di cercare il manoscritto originale, quello stampato a Marradi, affinché il testo vero non vada perduto.

Il Natale del 1916 fu l’ultimo trascorso da Campana da uomo libero; subito dopo fu internato definitivamente in manicomio.

Tra tutte le terribili vicende vissute da Dino Campana l’incontro con Sibilla Aleramo è di certo l’episodio che più colpisce l’immaginario del lettore. Passione violenta, amore tormentato, sessualità e ferocia, repulsione e attrazione connotarono questo legame in cui la poesia si mescolò al sangue, l’ispirazione alle percosse, la bellezza alla meschinità.

“Non sono ambizioso, ma penso che dopo essere stato sbattuto per il mondo, dopo essermi fatto lacerare dalla vita, la mia parola che nonostante sale ha il diritto di essere ascoltata”, scrive Campana a Prezzolini.

Sebastiano Vassalli attraverso questo libro ci offre la possibilità di ritrovare un poeta che ha pagato pesantemente lo scotto di possedere la capacità di penetrare la realtà, la vita, il mondo con una impietosa solitudine, quella a cui sono destinati non i pazzi, ma i grandi poeti.

Luciana De Palma

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