
Apparsa in libreria nel giugno del 1962, la plaquette Je voudrais pas crever, che ha contribuito enormemente alla gloria postuma di Boris Vian, comprende ventitré poesie scritte nel biennio 1951 1952.
Le opere di Vian dissacrano il suo tempo, si soffermano sulla crisi di una società e la corruzione dei costumi, smascherano l’ipocrisia di un mondo avvelenato dal moralismo, dall’ipocrisia e dal consumismo.
Provocatorio, eccentrico, Vian poeta mette sotto scacco senza alcuna via d’uscita la menzogna del mondo. La sua poesia è un graffio satirico, è una spada che si conficca per ferire è un’invettiva contro il suo tempo che lui non capisce e che lo respinge.
Cerca nella scrittura qualche scheggia di felicità, propone la ricchezza della povertà, il rifiuto del compromesso.
In Italia questo piccolo libro esce con il titolo Non vorrei crepare nel 1993 da Newton Compton nella fortunata collana dei libri a 1000 lire, che in quegli anni a costo bassissimo ci permise di conoscere scrittori senza tempo, dimenticati o poco pubblicati.
Nello spirito rivoluzionario della miglior tradizione francese, Boris Van perpetua la serie degli scrittori maledetti, che hanno fatto di quella francese la letteratura più diffidente nei confronti dell’ordine costituito.
Ignorato dalla editoria ufficiale per la sua vena antimilitarista, antirazzista e felicemente ironica e cinica, Vian fu amato dai giovani del ’68 che videro in lui la voce ribelle dell’uomo nuovo, capace di guardare alla risorsa dell’umano contro ogni forma di profitto.
Boris Vian era davvero un genio che non si preoccupava di scandalizzare, anzi la sua penna affondava nel torbido di una società ipocrita per scoprire i nervi dei benpensanti.
Nella poesia si sente davvero un uomo libero che si diverte a reinventare la parola per muover l’attacco al mondo con le sue costruzioni incongrue.
Il suo fare poetico si tiene lontano dall’intimo e dall’autoreferenzialità lirica. I suo versi uccidono l’esibizionismo dell’ego.
Quando nel 1946 pubblica Cantilènes en Gelée Vian non è ancora conosciuto. Ma leggendo i dodici pezzi che costituiscono il libro subito ci si rende conto che sta nascendo un autentico antipoeta di nome Boris Vian.
Non vorrei crepare propone una scomoda, anticonformista e irriverente lettura della realtà. Versi taglienti che imbarazzano i mediocri, i vigliacchi e tutti coloro che stanno bene nel coro.
Il poeta Boris Vian rincara la dose, scrive quello che pensa e tutto ciò che gli passa per la testa è frutto della sua estrema libertà di pensiero che disturba, imbarazza, scandalizza.
Per Boris la vita è come un dente, così scrive in una bellissima poesia tratta dal libro di cui stiamo parlando, che si guasta e si cura. Ma per essere veramente guariti «Bisogna strapparlo, la vita».
Vian, poliedrico individuo geniale, nella sua breve vita ha dissacrato il mondo. Eclettico e patafisico e con in mano un mazzo di chiavi dell’assurdo come pochi ha indagato le profondità dell’attività umana.
Lo ha fatto in maniera insolita, evitando etichette e definizioni, distruggendo le gabbie e le accademie e soprattutto vivendo nell’assoluta povertà di uomo libero.
«Non vorrei crepare /Nossignore nossignora / Prima di aver assaporato/ Il piacere della tormenta / Il gusto più intenso /Non vorrei crepare / Prima di aver gustato / Il sapore della morte…»
Il fantasma di Boris Vian si aggira ancora per Saint Germain des Prés e la sua è ancora una presenza ingombrante per gli ipocriti e conformisti di oggi.
Nicola Vacca