
Negli ultimi anni la poesia di Cesare Viviani di sottrazione in sottrazione è diventata nuda, essenziale, assertiva, sapienziale, aforismatica.
Nuda e essenziale è soprattutto la parola che scava nella materia incandescente del suo significare in cerca di un tensione morale che non spreca niente in questo nostro mondo in cui si chiacchiera molto sprecando forze e parole.
Cesare Viviani ha deciso di non dare le perle ai porci (come ha scritto in un suo breve saggio pubblicato da Il Melangolo nel 2014) e cimentarsi con l’essenza della poesia, con la parola della poesia che deve avere a cuore l’esperienza del limite, del vuoto della separazione, della perdita.
Perché l’essenza della poesia è inafferrabile, è l’esperienza del limite delle capacità umane di afferrare, capire, sistemare, cioè è l’esperienza del limite.
Dopo Osare dire (2016) e Ora tocca l’imperfetto (2020), il poeta senese ci regala Dimenticato sul prato, appena uscito da Einaudi nella collana bianca.
Abbiamo davanti un piccolo breviario di intuizioni. Tra le sue pagine il discorso è nudo e essenziale, la parola diretta arriva senza orpelli al cuore delle questioni esistenziali e morali tanto care al poeta.
A Cesare Viviani servono poche parole per darci una visione nuda e essenziale dell’esistenza.
La poesia per Viviani è espressione di verità, uno strumento di conoscenza imprescindibile per imparare a stare al mondo.
«Fa bene la natura / a rimproverarci / per le tante chiacchiere, / noi che ci siamo dimenticati / di non essere riducibili / a parole»; «(La perdizione era mirare / a costruirsi la vita)»; «Te la prendi tanto con la malattia, / ma la malattia ci ha preceduti, / la malattia è la vita»; «Perché colpire il disarmato? / Risponde preparato: perché siamo / tutti condannati, / e il condannato può diventare / disperato, / e il disperato può colpire il disarmato».
Cesare Viviani in Dimenticato sul prato compie un altro importante passo poetico verso l’etereo cercando nel distacco una nudità della parola che della realtà descrive lo schianto, l’implosione.
Al poeta interessa l’essenzialità che sa cogliere l’ora in cui si condensa la vita.
Sempre meno parole per essere invischiati nel battesimo dei nostri frammenti, come scrive Mario Luzi, poeta tanto amato da Viviani.
La poesia sempre più rarefatta per Cesare Viviani è far diventare un’asserzione verità, non è mistificazione, è verità.
Perché solo la poesia che non spreca le parole in un chiacchiericcio assordante è capace di comunicarci che la vita non è altro che vera.
Cesare Viviani in Dimenticato sul prato diventa più nudo e essenziale, non spreca le parole e lontano dal ciarlare quotidiano di molti poeti che usano qualche parola di troppo («Tutti dicono la stessa cosa: / è la parola comune») ci dona una poesia onesta che ha il volto delle cose che si chiamano con il proprio nome. Perché «Tutti dicono la stessa cosa: / è la parola comune» e questo non è più il tempo di dare le perle ai porci.
Nicola Vacca
(Cesare Viviani, Dimenticato sul prato, Einaudi, pagine 82, € 10,00)