Giovanna Sicari – Sigillo

Impotente per imparare, per la maturità
del cielo incapace, per il rombo della
nave inerte, m’imbattevo solo nei fumi
di un gasdotto che bestemmiava l’accesso
ad un passaggio invalicabile.

Assomiglia ai puntini la luce nella macchina da scrivere,
il dispiacere trema immobile.
Black-out nostro soldato mutilato!
Ferraglia ai lombrichi! Che succedeva?
Emozione gettata nel grano, emozione balbetta la lingua
ha fronzoli sperduti nei secchi
ha sottane e qualche risata, cipressi
porta lapidi a spasso.
Emozione, visitatrice pazza e ostacolata
oscura fra me e il cielo a gradinate.
Emozione gridava! Cosa fare mi dice
asciuga il sapore al palato, fottiti il coito
la melma gira di notte, ruba il salato alle grondaie
taglia il veliero, riduci, come la cenere ritorna sudore!
Emozione, elemento, è un giardino rovinato
non offende Dio, ha nascosto il sole al cemento
del lauto pasto terribile.

Assomiglia alla luce in viaggio il volo del fulmine
sul marciapiede, il canneto prima di amarsi.
Venga il passatempo bianco, la lama, il compasso
dietro la città, non mi sarà più permesso
con altre lingue slacciare calzari
nell’attesa lo scontro orribilmente
come una raffica di accorgimenti mi rialzerò.
Collari di pietra! Adulazioni!
Continua ogni evento talmente incalzante
come il nome, com’è il respiro fra loro dei platani
come reliquia il vento leggero sul volto
e i futuri di orizzonti che ci serbano
i falchi omessi, il requiem dell’oltraggio.

Fu la bicicletta, la disputa delle pedalate
l’ordine mostruoso delle tabelle dei viaggi
e ancora statiche lingue di luce fra i salici.
Come una vacca, come una vacca sperpera, esagera.
Non voleva essere colta nella trappola dei sacchetti
di nylon, della passerella dei fiumi e di sette otto
stazioni. Ma non fuggire anche se sei vacca bagnata
copione già scritto, erravamo o eravamo.

Beata marcia svuota il passaggio
mancano comete a questo cielo d’assalto,
questi diritti cieli curvi
il palo che sostiene il ponte
hanno una brusca inafferrabile chiusa
il peso è la loro avara direzione
la scia stretta è una vana commedia
vane le urla della corrente.
L’eccidio, l’evasione fanno trincea
io sfuggo e mi accaloro per un altro recapito.

,,,

Oh che inverno esorbitante che percezione del terribile!

Siamo a bordo
non v’è ruggine sul fiocco
non si spezza sotto vento l’esca
del mio amo. Mantieni la rotta
appena sarai lassù, tienimi forte.
Se sei pronto per simili averi
su quel cavallo verde di fanghiglia
non sferrare assalti al cielo.
Abbiamo ambedue una ragione di fuoco
uguale tempesta, uguale partitura.
S’intende l’innocenza, stasera
il suolo ci raggiunge, si sospetta
della verginità ancora intatta.
Amore non so, non voglio sapere
se dalla via s’intravede
la statua risorta.

(Giovanna Sicari, da Sigillo , Donzelli editore)

Giovanna Sicari, poetessa e scrittrice Dal 1962, con la famiglia, si trasferisce a Roma, nel quartiere Monteverde. Le sue prime poesie escono a partire dal 1982 sulla rivista «Le Porte», quindi su «Alfabeta», «Linea d’Ombra», «Nuovi Argomenti». A partire dal 1986 pubblica sette libri di versi e tre di prosa, tra questi un volume miscellaneo, La moneta di Caronte, che raccoglie contributi di scrittori contemporanei. Dal 1985 al 1989 è redattrice della rivista «Arsenale». A partire dagli anni ottanta inizia inoltre a lavorare come insegnante nel penitenziario di Rebibbia, a Roma, incarico che mantiene fino al 1997, quando si ammala gravemente. Dopo essersi sottoposta a interventi e cure prima a Roma, poi a Milano, dove nel frattempo si era trasferita torna a Roma nell’estate del 2003, dove muore nella notte tra il 30 e il 31 dicembre.

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