Accendere l’amore

Tante volte traversammo un tormento d’amore, un ardore rosso amaranto, che ci sfiancò.

Tante volte inseguimmo, da giovani, le imprendibili chimere, le ragazze vagheggiate, platonicamente sognate, schegge impazzite. E alla luna e alle pallide notturne confidammo la nostra intima pena.

Il travaglio adolescenziale ha l’effluvio di violette. La musa desiderata, quando s’è giovanissimi, è sempre sfuggente, fuggitiva, irraggiungibile. Può essere la compagna di liceo, che non ti degna d’uno sguardo, nonostante i tuoi vivi pronunciamenti e le sventagliate bramosie. Può essere la vicina di casa, che osservi di nascosto, mentre porta a spasso il suo destino. Può essere la gioiosa meditazione sulla vita, che è sempre infinita, nonostante la sua oggettiva caducità. Tante volte, da ragazzi, ci innamorammo dell’esistenza praticata, bordeggiata ai margini delle strade. L’esistenza delle piccole cose, del filo d’erba strabiliato d’amore e di fotosintesi universale. Nella terra dei limoni e delle arance e degli ulivi contorti e assolati guardai nel suo cielo. Il cielo delle stelle di fuoco.

La vidi nuda, spruzzata di pioggia, che mi lambiva il cuore e giocava con la mia vita fatta di niente. L’amore sa di sale e di miele, di luna e di violini. Tante volte, da giovanissimi, respirammo un vuoto d’amore, uno smarrito stupore. L’incapacità di saper riconoscere la nostra peculiare identità, la cifra inerente del nostro essere. Senza possedere gli strumenti per poter perdonare noi stessi, senza saper perdonare gli altri. E poi che dire dell’infanzia? Quella sì che è stagione di felice turbamento. Nei primi anni di vita, la simbiosi con la madre è la più intima avvisaglia del sangue che ci scorre dentro, che pulsa e batte. La madre è la musa perenne, è l’eterno ritorno.

Da adulti, scriviamo in apparenza piccoli versi per donne agognate. In realtà, il modello palpitante che ci naviga dentro è l’immagine della madre, la luce dei suoi occhi, il bene imperituro che ci volle. La madre è la musa che sopravvive agli eventi, al mutar di accadimenti, al tempo che inevitabilmente scorre e ci conduce nei porti dell’indefinito. La madre è la più radiosa fanciulla. Alcune volte, provammo anche indicibile dolore al cospetto d’una realtà effettuale sorda, intricata, difficile da decifrare. Ancora oggi portiamo addosso le ferite ricucite, ma ancora sanguinanti, di sconvolgimenti incisi nell’intimo dello spirito. Ci salva l’amore, solo l’amore.

E il sogno. Questo dolce anelare ad occhi aperti un porto di barche serene e ammarrate. Canta Dino Campana: “O quando o quando in un mattino ardente/L’anima mia si sveglierà nel sole/Nel sole eterno, libera e fremente/”. Nel giorno delle frementi aurore, ci desteremo. E il dolore sarà solo un ricordo. Un ricordo negletto, metabolizzato, trasformato, in tutto il rosa dei cieli delle nuove albe. Da adulti, continuiamo a cercare come rabdomanti amore, sogni, chimere, utopie, attese. La corsa non è mai doma. Non siamo mai stanchi di rincorrere i semplici beni immateriali, non consumistici, perché vibrano di sostanza, e sono più caldi, più vigorosi dei miserabili beni materiali.

Da adulti, non siamo mai estenuati nel vezzeggiare un piccolo amore, solo un piccolo amore. Lo accendiamo nelle notti solitarie e stranite, quando la musa tace. E non si cura di noi.

                                                
Marcello Buttazzo

(Foto di Ferdinando Scianna)
Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...