
Italo Svevo (pseudonimo di Ettore Schmitz) costituisce un caso singolare nella storia letteraria del Novecento. Comincia a dedicarsi alla narrativa già dalla fine dell’Ottocento, tace per un ventennio, pochi anni prima della morte conquista una fame europea grazie alla critica straniera.
Non è facile trovare una collocazione a questo scrittore nella nostra letteratura. La sua originalità è fuori discussione, soprattutto se prendiamo in considerazione La coscienza di Zeno un antiromanzo che non tralascia nulla per diventare romanzesco, che assume una sua fisionomia grazie ai suoi personaggi e all’ambiente in cui si svolge
Quando il libro uscì, infatti, si parlò di un opera originale, tornando volentieri ad altri libri diversi di Svevo, che contenevano una storia e dei personaggi a tutto tondo.
Come dicevamo poco fa, la prima attività di Svevo affonda le sue radici nell’ultimo Ottocento che fu periodo caratterizzato dall’esistenza del vecchio e del nuovo Una vita è del 1892, Senilità del 1898.
Questi primi romanzi si richiamano ai temi della narrativa di estrazione naturalistica e veristica. Lo scrittore è attento ai particolari nel caratterizzare i suoi personaggi, è abile nella rappresentazione a tutto tondo della figura umana e della su Trieste colta nei suoi aspetti popolari e borghesi.
Ma quello che più interessa a Svevo e scavare all’interno dei suoi personaggi e evidenziare il loro rapporto ambiguo con il mondo. La novità di Svevo, che fa di lui uno scrittore originale, consiste nell’attenzione al rapporto personaggio – realtà, alla mancanza di autenticità nell’umano alla falsità e all’ambiguità di tal rapporto.
Alfonso Nitti e Emilio Brentani sono incapaci di affrontare la realtà, si autoingannano, mistificano la propria sconfitta con una serie di comportamenti psicologici il cui complesso meccanismo Svevo riesce a smontare.
Gli «inetti» di Italo Svevo sentono addosso un male di vivere radicale, sono uomini che al posto di vivere si guardano vivere, rassegnati a subire.
La coscienza di Zeno, il terzo romanzo dello scrittore triestino, è un libro fondamentale della nostra letteratura, un romanzo che rivoluzionato la cultura e cambiato le nostre vite.
Giacinto Spagnoletti ha scritto che La coscienza di Zeno è nient’altro che la storia di una beffa.
Un vecchio commerciante triestino tra mille resistenze intime finisce per accontentare un medico psicanalista e inizia a raccontare per iscritto la sua vita, dal vizio del fumo alla morte del padre, all’associazione commerciale con il cognato e molto altro ancora. Mentre scrive si abbandona a una serie di riflessioni su se stesso e sugli altri finché capisce che tutto quello che ha narrato non ha uno scopo.
E tutto finisce in una burla ai danni della psicanalisi.
Anche Zeno è un abulico, segnato da un marchio di inettitudine nei confronti della vita.
Con Zeno Cosini, Svevo approfondisce la sua diagnosi della crisi dell’uomo contemporaneo che è tanto più ampia quanto maggiore ne è la consapevolezza e quanto più la auscultazione e la disincantata analisi della malattia escludono la possibilità di entusiasmi e nuove fedi.
Italo Svevo è uno scrittore che ha una dimensione europea e mitteleuropea, la sua opera (originale) è una novità profonda nella narrativa del Novecento.
Lo scrittore triestino, con lo scacco dei suoi personaggi di fronte alla vita, è una voce importante della letteratura della crisi e del disagio, insieme a Joyce e Kafka.
Nicola Vacca