Un’isola alla fine del mondo. Sommersione di Sandro Frizziero

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Sommersione è il secondo romanzo di Sandro Frizziero, scrittore poco più che trentenne di Chioggia, professore di lettere. Al centro di Sommersione vi è un’isola morente. La storia si svolge in un’epoca, la nostra, ormai allenata alla disgrazia. A cadenze regolari, ricorrenze segnalate da una lugubre sirena, quest’isola della laguna veneta, come recita appunto il titolo, viene sommersa dalla marea. L’inondazione delle strade è la prova concreta dell’innalzamento delle temperature, l’effetto tangibile dello scioglimento dei remoti ghiacci polari, un evento planetario accettato con stizzosa rassegnazione dagli anziani abitanti del luogo. Improvvise vampate pomeridiane di appiccicosa calura palesano, ulteriore conferma, la sovversione climatica in atto. È allora che le spiagge si animano. Bagnanti giungono dalla terraferma con i traghetti, cavallette ansiose di sfruttare il rimescolamento folle delle stagioni e altrettanto impazienti di andare via, il prima possibile, da quell’avamposto di irreversibile involuzione. Tutto, sull’isola, rinvia al degrado, allo scarto. Il mare stesso appare una distesa grigia, torbida, in agonia. I flutti portano a riva rifiuti di plastica, tappi e lattine, mute ossa, rami scorticati, pesci disorientati.

Frizziero si rivolge al protagonista di Sommersione con il TU, favorendo così un’apertura, una dimensione di dialogo con l’altro. È la coscienza dell’uomo a parlare? Oppure, a ricapitolare le nefandezze di una vita, è quel dio negato a forza di maledizioni e bestemmie dallo stesso innominabile protagonista e dai suoi rabbiosi simili, per tutto il corso dell’opera? Chi è il narratore onnisciente che TI segue? Non sappiamo. Sappiamo, però, che il ricorso all’IO-TU è un metodo della teologia del Novecento incarnata nelle figure di Martin Buber e di Dietrich Bonhoeffer, una negazione delle filosofie utilitaristiche che riducono l’uomo ad oggetto. Il movimento corrisponde, viceversa, ad un “ritirare le mani” dal soggetto oppresso dal potere e dalle ideologie, per donare ad esso respiro e libertà.

Colpisce, quindi, che il pescatore, di cui si narrano le ottuse gesta, sia un greve detrito umano incapace di gentilezza, pietà, pensieri complessi. Il lettore non vorrebbe mai avere niente a che fare con un tipaccio del genere, roso da un livore interno inestirpabile. Il protagonista merita riprovazione e disprezzo. Tuttavia il disprezzo non è forse, per paradosso, una forma suprema di apprezzamento, un tragico tentativo di comunione con un altro assolutamente refrattario al nostro abbraccio? Gli impotenti e cadenti anziani dell’isola, dimenticati dai parenti, dallo Stato, dai mezzi di comunicazione, dall’economia, dalla tecnologia, sono in fondo scorie del progresso, la faccia nascosta delle umane sorti e progressive, il contrappasso di una civiltà dedita all’accumulo apparentemente infinito di beni materiali ed al consumo irrazionale di risorse. I vecchi, meschine macchine di rancore, emergono da un oblio di nebbia per scaricarsi/scaricarci addosso un odio accumulato negli anni, laggiù, ai margini della produzione globale.

“Non credi più a niente, è questo il problema. Non credi a dio e ai poteri emollienti dell’aloe, non credi alla scienza e ai saldi di fine stagione, non credi alla vita oltremondana e ai vantaggi della plastica biodegradabile. Non credi all’affetto di figli e cani, alla bontà di torte e suore, alla raccolta dei Veda e a quella dei punti, al catechismo e all’onanismo, alla democrazia e al commercio, al biologico e alla logica. E dunque ti senti spaesato, completamente perso tra venditori di crocchette di patate e di tappeti persiani, tra questa minestra di storie clandestine, stanche rivincite, ignorate ripicche”.

Frizziero sa essere sgradevole nel raccontare lo zibaldone di abiezioni, il florilegio di crudeltà private commesse e accettate da tutti, il ventaglio di barbarie radicate, a mo’ di discrete abitudini, su una terra prossima alla definitiva scomparsa. Il pescatore, è vero, picchiava la Cinzia (tutte le donne sono introdotte dall’articolo “la”, e i maschi con “il”, perché il gergo masticato è quello delle lande del nord Italia), ma non è proprio così, imbarazzante domanda retorica, che vanno trattate le mogli? La Cinzia, tanto pia e devota, è morta di un brutto male che non le ha dato scampo, al termine di pellegrinaggi in ospedali avari di miracoli. Il lutto si riverbera nella monca quotidianità del vecchio: il dolore del ricordo si rivela un fastidio per tutto ciò che la Cinzia non può più fare, servizi domestici e sessuali compresi, sotto il giogo della cieca ira o della belluina voglia. Gli uomini di Sommersione, esseri ripiegati sui propri fiati di vino, sono incatenati alle funzioni basilari e al gesto animalesco. Unico ritrovo dell’isola, i bar, l’American e la Taverna, popolati da differenti livelli di disperazione.

L’odio è un sentimento puro. Il pescatore odia tutti ed è ricambiato con pari vigore. Odia le donne, è chiaro, in particolare la Felicia, che aveva messo in guardia la sorella Cinzia, peraltro inutilmente, da un matrimonio d’inferno, odia la Wanda e le altre “puttane” che hanno sempre sparlato di lui, tutto il cerchio di beghine radunato attorno al detestato don Antonio, prete sensibile più alla sfera materiale che a quella spirituale. Odia la Gigia, la cagnetta della Marzia, insostenibile nel suo abbaiare ostinato, odia i gatti che lo guardano con intenti di vendetta, memori del trattamento riservato loro dall’infame pescatore in gioventù, odia il cognato, il marito dell’unica figlia, la Simonetta, polipo dai tentacoli allungati sui suoi risparmi e su quella casa di proprietà, un vanto per il vecchio, sebbene le fondamenta siano assediate da eserciti di scarafaggi e il sale ne stia scrostando le pareti. Odia anche il Bertin, il sindaco, reputato responsabile di ogni possibile disastro, declino, tradimento. E poi, non si può tacere lo scambio reciproco di fiele con la Ketty dell’alimentari, con la Susi del panificio, con il Berto delle esche. Le esche, gli operosi vermi buoni ad accalappiare i pesci, infime creature dell’universo però degne, a differenza di donne e uomini, di rispetto e lode. Odia le zingare attestate al camposanto, gente che non serve a niente, solo non odia le negre, brutte scimmie le chiama, accampate vicino al cantiere, crocevia di vecchi decrepiti alla ricerca di piacere a pagamento. Loro a qualcosa servono.

“Il nemico ti assedia e tu ti difendi come puoi, certo. Chi parteggia per la Cinzia, parteggia per una morta, e fare questo significa vincere di sicuro, perché i morti sono inattaccabili, non si possono criticare e non possono aprir bocca e peggiorare così la loro situazione. Certamente tutti sanno delle botte, ma nessuno pensa che se la Cinzia ti avesse ascoltato un po’ di più, se non ti avesse lasciato così tante volte senza vino o senza sigarette, non saresti arrivato a batterla così forte. Che poi a te l’arrabbiatura passava subito, mentre si sa che le donne hanno la memoria lunga e sono esperte nell’arte della vendetta”.

Nel caratterizzare la geografia antropica dell’isola, Frizziero mescola finzione e verosimiglianza: un enorme deposito di gas propano, frammento di un passato in rovina che somiglia ad un futuro mai accaduto, un ex colonia (già centro elioterapico per i bambini di C’ernobyl gestito dalle suore Canossiane) ora covo della setta millenarista degli Angeli, un massiccio forte di epoca medioevale, quasi un monumento eretto all’impossibilità della fuga, un ospedale psichiatrico, voluto dalla locale curia per segregare in un limbo i preti pazzi di mezza regione, lo spaccio dei tedeschi, pieno di articoli di scarsa qualità venduti in offerta. Nei bar, gli anziani giocano a carte, bevono, dilapidano soldi alle slot machine e alternano discorsi violentemente razzisti, in cui esplode la nostalgia per il Duce, ai mesti ricordi di disgrazie passate. Ogni tanto, fanno capolino pigri interessi per i feticci sportivi del nostro presente, divinità del calcio molto, molto lontane, come Cristiano Ronaldo.

Nel complesso, Sommersione è il ritratto di una periferia di acuta miseria umana. La mancanza di interazioni con l’esterno, fa collassare, in senso lacaniano, il Reale sulla Realtà, dove il Reale è una fantomatica entità invisibile e onnipotente, mentre la Realtà è lo spazio sociale delle relazioni, qui lacerato, soffocato, disfatto. L’unica risposta psichica all’Altro è quindi la paranoia, l’unica reazione collettiva è l’esecrazione empia del Creato, l’unica parola coltivata in bocca è la bestemmia.

“Ti verrà un colpo alla Taverna, tra i motti della briscola, tra un porco e l’altro, poco prima di gettare la carta vincente, mentre alla TV muta sopra il bancone Paolo Fox dà l’oroscopo e la cameriera passa il mocio”.

Sommersione è diviso in quattro parti e, nell’ultima sezione, il motivo della cattività sull’isola del pescatore, una verità inabissata nella vergogna, viene a galla. Come morì il Giuseppe, quella “checca” amata dalle donne e dalla Marina in particolare, la Marina che sverginasti godendo solo TU, tanti anni fa? Tornasti in paese a chiedere aiuto dopo che era scivolato dalla scogliera? Fu un crimine, una negligenza, una leggerezza abominevole e crudele? Pesa su di te un sospetto solido come un sogno, evanescente come una pietra. I ricordi si confondono o sei TU che li confondi apposta? Perché, da quel giorno di pioggia torrenziale, tutti ti hanno guardato male?

Sommersione è un romanzo che non consola, più entropico che distopico. Leggiamo dal dizionario Treccani: “Nelle trasformazioni reali, irreversibili, di un sistema isolato, in base al secondo principio della termodinamica, la variazione dell’entropia è sempre positiva, e l’entropia tende quindi a un massimo, al quale corrisponde la cessazione di ogni ulteriore evoluzione spontanea del sistema (principio che, applicato all’intero universo, ha dato luogo all’ipotesi di una sua morte termica): l’entropia può considerarsi come un indicatore temporale (freccia del tempo) poiché assegna un verso alla successione degli stati del sistema”. Sommersione è l’elegia di un sistema che muore. Inevitabile pensare a Venezia, al suo triste destino intravisto nelle recenti inondazioni. Inevitabile associare il perimetro asfittico dell’isola alla clausura imposta dalla pandemia. Il pescatore imbocca infine una ribellione senza orizzonte, seguita da un’evasione senza speranza. Il TU è sempre lì, breccia verso il Tremendo, l’Inascoltato, l’Osceno.

“Dopo una vita in mare, al mare devi tornare. Avanzi per circa un’ora, incrociando un enorme mercantile che indifferente attraversa le pieghe dell’Adriatico. Passa un’altra mezz’ora prima che il motore si spenga. La benzina è finita, l’elica è ferma. La barca, silenziosissima procede ancora un poco per l’abbrivio e poi si arresta del tutto. La nebbia sale. Il silenzio è interrotto solo dallo sbattere dell’acqua sul fianco della barca, dal passaggio di un’invisibile nave lontana”.

Alessandro Vergari

(Sandro Frizziero, Sommersione, Fazi Editore, 2020, pp.190, € 16,00)

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