Ogni libro dovrebbe essere una urgenza per chi lo scrive, ma quella di Diario dello Smarrimento, editod a InSchibboleth, a firma di Andrea Di Consoli (scrittore, poeta, saggista, autore televisivo e radiofonico) traduce il nostro spaesamento, quello che ci fa ospiti della vita, estranei ai luoghi più famigliari, renitenti al futuro come al passato, ostaggi della solitudine.
Una narrazione implosa che ha una genesi modernissima, diario intimo e pubblico sbocciato in FB, di cui Di Consoli afferra le multiformi possibilità comunicative ma anche espressive; altresì il Diario ha una ispirazione antica, ovvero il disincanto di un uomo ritratto all’arresto di una storia d’amore .
All’apparenza asistematico, il Diario serra nella sua frammentazione un racconto, il più rischioso e coinvolgente, quello autobiografico che svela senza riserve per specchiarsi negli occhi di chi legge.
In frammenti teneri e carnali, l’autore converte la sua esperienza in confessione che evolve in testimonianza attraverso una scrittura tersa, esemplare, di laboriosa essenzialità.
In questo senso, come disse Cesare Garboli a proposito dei Sillabari di Parise, il Diario fa qualcosa più del raccontare, ovvero invoglia.
Così seguiamo l’autore, che talvolta si declina in terza persona come se si vedesse altro dallo scrivente, in una geografia concreta che dalla Basilicata dei suoi padri salta a Napoli, urbe del cuore, e poi a Roma, dove abita e lavora.
Ma è l’erranza di un’anima che ci seduce; sia ben chiaro, non l’anima angelicata, avulsa dal contesto che la ospita, ma quella che ha ragion d’essere solo per il corpo in cui abita, e quindi vorace, ferina ma anche romantica, generosa e spaventata dal vuoto che è afasia, che è silenzio, che infine è la grande e fatale incognita: la morte.
(…Il mio rapporto assurdo coi luoghi; questo percepirli come
un’estensione del mio corpo, questo vederli segnati da ciò
che provai, da ciò che vissi, da ciò che sentii; questo vivere le
strade, le città, i paesi, certe case, certi alberghi, certi svincoli
come organi, come pezzi di me, come sintomi della mia forte
vita vissuta come una storia di malattia e di guarigione…)
Le donne, i figli, gli amici, i maestri, i ricordi della giovinezza fatta di lavoro e studio ma anche di una grande fiducia nel futuro, la letteratura, il successo, la disillusione, la paura e la speranza: è una voce epica quella di Di Consoli, erede del sentimento ancestrale della Magna Grecia di cui uomini e donne del Sud sono il nobile retaggio umano. E epica è tutta la letteratura che fino ad oggi ha prodotto Andrea Di Consoli, fin dal potente romanzo Il Padre Degli Animali.
Voce dunque contemporanea ma che va oltre le contingenze e si fa universale.
Bussola per decifrare le solitudini e le inquietudini che ci fanno raminghi e mendichi di risposte a istanze che nemmeno più riusciamo a formulare, il Diario.
Pagine indimenticabili sono dedicate a Napoli, preziose proprio perché parlare di Napoli è arduo. Solo a menzionarla Napoli brucia: troppa roba Napoli, troppo uso e abuso tanto che lo stereotipo è sempre in agguato, anche per le penne più brillanti.
Nel Diario invece – e da napoletana gliene sono grata – si distilla di Napoli l’essenza con parole precise, che non cercano effetti né di mandolino né di echi gomorriani.
Di Consoli ci dice di Napoli senza compiacimenti, senza ruffianerie e soprattutto senza pregiudizi.
(…Stanotte, non riuscendo a prendere sonno qui a Napoli, sono
uscito dall’albergo, e mi sono diretto a piazza Plebiscito. Pio –
vigginava. C’ero solo io, nella grande piazza del Regno. E ho
avuto questa puerile fantasia egocentrica: ci sarà per sempre
un momento nella storia – nella storia invisibile del mondo –
in cui a piazza Plebiscito c’ero solo io, e l’immensa piazza spet –
trale era tutta per me. Guardando a ritroso la grande moviola
della storia, tra tumulti, comizi, feste e processi, a un certo
punto, premendo stop, si vedrà il fermo-immagine di un uomo
solo che cammina nottetempo nella piazza più importante di
Napoli…)
E quell’uomo insonne che, nella notte di piazza Plebiscito, si avvita nella memoria del Tempo è una istantanea di lancinante poesia che si fissa nel nostro immaginario. Siamo anche noi lì, solitari e unici, in questo segmento di eternità, evocati per la magia di chi scrive.
In un mondo dove la vera rivoluzione è insita nella facilità ed immediatezza della comunicazione, proprio usando uno dei suoi massimi sistemi, FB, Di Consoli ci induce alla pausa, alla riconsiderazione di valori imprescindibili come la responsabilità, la compassione, la fratellanza, ma senza concioni, senza moralismi, semplicemente offrendo la trasparenza delle sue emozioni.
Gli altri per l’autore non sono l’inferno di sartriana memoria, bensì interlocutori in cui riconoscere il prossimo, da laici cristiani.
Nei brani dedicati agli amatissimi figli commuove una propensione più materna che paterna, volta all’accudimento e alla comprensione; figli che sono ragione, e forse anche alibi, per resistere e vivere fino in fondo.
(…La figlia aveva paura di E.T. e il padre aveva paura di non es –
sere mai più felice. E perciò stavano abbracciati sul divano in
un calore struggente, ognuno assediato nei punti deboli della
propria età…)
Il mal di vita vela e svela .
Eppoi c’è l’amore, il soverchio tabù letterario che si declina spesso solo per gingillerie sentimentali, per patacche insomma.
All’opposto, nel Diario, l’amore è esibito senza infingimenti, si spendono parole che stillano lacrime e sangue, ma anche rimembranze di sorrisi e di quelle gioie che rendono cara l’esistenza. E in questa prodiga narrazione dell’amore, ricambiato, negato o in pausa, è acquisita una delicata pedagogia delle relazioni.
(…Così come le guerre non finiscono del tutto al termine delle
ostilità, così gli amori non terminano mai con nettezza quando
si dice “addio”. Sopravvivono sempre echi, oggetti, ricordi,
abitudini e parole che lentamente, giorno dopo giorno, si mo –
dificano, impastandosi con le nuove realtà della vita che cam –
bia. Se però si fa attenzione – ma bisogna avere un ascolto dav –
vero abissale – si possono udire distintamente i rumori ancora
vivi non soltanto dell’ultimo amore, ma anche del penultimo,
del più antico, finanche del primo. Scoprendo così che mai
nulla finisce veramente per sempre…)
Qui si osa dire quel che solitamente si cela o si paluda, senza remore e senza rete, e -questo il prodigio del Diario! – l’uomo e lo scrittore coesistono in osmosi col lettore.
Dettate dalla lontananza fisica ed emotiva, si rilevano le nostalgie per la Basilicata, quella terra avita in cui occorre tornare per attingere energia, come novello Anteo da Gea madre. Il paese di Di Consoli, quella Rotonda dove – tra molti molti moltissimi anni – lui auspica di essere sepolto, è la Tara di Scarlett O’Hara dove il domani schiude un altro giorno, dove c’è sempre un inizio e una possibilità, quand’anche nell’atto di fuggirne.
Un Diario che predica Letteratura, di cui ogni passaggio potrebbe essere incipit o epilogo di una storia. Un word progress che intavola frammenti di un discorso affettuoso; un libro che non basta leggere, ma stimola a riletture, anche ad alta voce per ascoltare le parole che temevamo perdute.
Antonella Del Giudice
Un pensiero su “Frammenti di un discorso affettuoso”