Collodi alla fine dell’ottocento “intagliò”, forse è proprio il caso di dire, questo personaggio che ha incrociato l’infanzia di tutti gli italiani.
Anche se le nuove tecnologie ed il dominio della plastica hanno moltiplicato in serie i nuovi eroi per bambini, provenienti, per lo più, dai paesi asiatici, il legno del nostro burattino più famoso, sia pur corroso dal tarlo e spesso con braccia e gambe disarticolate o in pezzi, resiste nell’immaginario nostrano.
Ma oltre il legame di affetto e memoria che giustifica questa sopravvivenza, c’è, probabilmente, qualcosa di più profondo e sostanziale che lo assimila ad alcune caratteristiche degli italiani. Tanto quanto è più distante da noi un personaggio per certi versi simile come Peter Pan. Quest’ultimo, infatti, prodotto di una cultura nordica, si colora delle sfumature del sogno e del rifiuto della crescita, proiettandosi in una dimensione di idealità e fuga dalla realtà della maturità. Pinocchio, al contrario, con quella realtà fa i conti, pur distorcendola e “ ficcandoci il naso “ a sproposito con un atteggiamento di furbizia un po’ patetica e maldestra che gli si ritorce sistematicamente contro.
E quello sguardo interdetto con il naso lungo ma le gambe corte di chi è colto sul fatto, con le mani nella marmellata ( si diceva una volta ) soltanto che ora quella marmellata è, praticamente, irriconoscibile moltiplicata in miriadi di sfumature di gusto delle infinite merendine le cui tracce sono appena visibili sugli involucri disseminati in casa vicino a tablet ed ipad nelle mani di bambini da non disturbare nella loro disconnessione dal mondo reale. E che certamente non provano alcun rimorso per il semplice motivo che non c’è un limite che possa rimarcarlo. ù
È l’adulto, spesso, al contrario ad avere quello sguardo colpevole alle rimostranze del figlio, vero dominus della casa. Ma la “furbata” da mettere in atto, spesso è di piccolo cabotaggio, ai limiti del patetico. Da questo punto di vista, Pinocchio è veramente italiano.
Ma Pinocchio non avrebbe senso al di fuori della sua storia e soprattutto dei personaggi di quella storia. Complice e vittima allo stesso tempo, il burattino è quei personaggi tanto quanto quei personaggi sono lui.
Il legno di Pinocchio è la materia grezza che attraverso le braccia “ pulite “ di Geppetto/Giuseppe si corrompe con i vari Gatti, le Volpi, i Mangiafuoco e Lucignoli del mondo sperando nel coupe-de-theatre di una salvezza in extremis, della magia di una fata-turchina che è madre, madonna, coniuge impossibile di Geppetto/Giuseppe.
Ritorna la dimensione del miracolo che affonda le radici in una cultura arcaica precristiana, magica, viscerale, irrazionale che pesca in tradizioni diverse di matrice greca, etrusca, latina e poi su su fino all’influenza superstiziosa spagnola, solo per citarne le maggiori.
Pinocchio vorrebbe avere la furbizia dei due animali che gli fanno seminare le monete d’oro, la discolaggine o “ cazzimma “, come direbbero i napoletani, dello “ scugnizzo “ Lucignolo, la violenza stupida e bruta di Mangiafuoco sempre, però, al riparo del manto blu di quella fata un po’ mamma un po’ madonna che tutto perdona, che tutto dimentica e tutto accoglie e con le pezze e i rattoppi che il vecchio buon Geppetto ci mette, sistematicamente, ricorrendo anche ai carabinieri con i pennacchi simbolo di uno stato e di una giustizia da favola ( o favola della giustizia ) dalla lacrima facile come i gendarmi di “ Bocca di rosa “ del grande Fabrizio De André.
Miracoli di condoni, amnistie, prescrizioni, indulgenze, concessioni di grazie varie.
Ma al contrario anche tutti quei personaggi vorrebbero essere Pinocchio, nascondersi dietro di lui, dietro il suo corpo “ innocente “ a cui tutto si può perdonare, quasi un Totò che si muove disarticolato come il burattino.
Però è un nascondiglio-farsa poiché quel naso è troppo grande per poter essere cancellato ma tuttavia è paradossalmente un’arma proprio in quanto è disarmante.
Si può cavalcare senza crederci veramente come può essere un cavallo il manico di una scopa.
E quegli occhi strabici di Pinocchio non guardano il mondo se non attraverso quel naso che nasconde, ingombrandola, l’altra faccia della realtà.
Non è la rabbia del naso di Cyrano che grida la sua diversità irriducibile ma la puntura fastidiosa e apparentemente innocua della spina inopportuna del ramo di un albero.
Ma allora dov’è la realtà ? Basta essere di legno per esserne fuori ed essere di carne per esserne dentro ?
I personaggi, in carne ed ossa, che si confrontano con Pinocchio sono più reali di lui solo per questo o forse appartengono inesorabilmente anch’essi al perimetro chiuso della fabula ?
E allora forse fabula e realtà abitano gli stessi luoghi e muovono gli stessi personaggi in base alla scelta del linguaggio in senso lato che è scelta primariamente di senso.
E’ la particolare declinazione del linguaggio che piega e modella la realtà ad una visione particolare. “ Ogni visione del mondo tende a farsi mondo “ scriveva Karl Jaspers.
E quindi anche un linguaggio può essere intrinsecamente coerente anche se i suoi presupposti sono distorti. Il risultato, però, sarebbe il delirio anche se un delirio strutturato.
Questo giustificherebbe molti aspetti di modalità linguistiche che verifichiamo anche oggi attorno a noi che veicolano messaggi palesemente distorti con toni assolutamente inadeguati ma che discendono coerentemente da presupposti errati che dovremmo chiamare onestamente pregiudizi e non legittime opinioni .
E allora bisogna rimanere con gli occhi aperti per mantenere lo sguardo su entrambi gli aspetti della vita. Aspetti contemporaneamente fantastici e reali. Entrambi necessari. Entrambi, però, gravidi di conseguenze non sottovalutabili.
Vivere la realtà con le categorie della favola non rende meno reali e pesanti le conseguenze delle scelte e delle azioni di cui saremo chiamati a rispondere nella realtà.
E queste conseguenze… non sono favole !
Il pesce-cane che ci può inghiottire non sempre è ammalato di asma, come nella favola, da lasciare la bocca aperta facendo scappare Pinocchio e non basta una martellata a far tacere la coscienza del grillo parlante sulle pagine di giornali non allineati al sistema o più in generale nella voce del dissenso.
Pinocchio è più intelligente di quanto voglia far credere la sua testa di legno, è simpatico e a volte fa il furbo ma spesso il risveglio nella realtà è “bruciante” e la legna, si sa, si consuma presto !
Paolo Fiore
Un pensiero su “Gli Italiani e la sindrome di Pinocchio”