Il dominio della tecnologia elevata al rango di religione salvifica come risolutrice dei mali dell’umanità ha determinato la cancellazione del significato del volto dell’altro-da-sé, le scienze positive sorrette dal mero calcolo economico hanno prodotto un anti-umanesimo che ha proclamato l’avvento della dissoluzione del soggetto. L’Anti-umanesimo si invera con una “intuizione geniale che consiste nell’aver abbandonato l’idea di persona, scopo e origine di se stessa, in cui l’io è ancora cosa perché è ancora essere” (Levinas).
L’uomo inteso come individuo in quanto realtà ontologica “non trova un privilegio che ne faccia lo scopo di tutta la realtà” (Levinas), l’uomo quale animale razionale si dissolve nella natura in quanto animale e nelle strutture spersonalizzate dell’economia e della tecnologia in quanto razionale. La fine dell’umanesimo e la morte dell’uomo sono tematiche che rivelano il fine ultimo della ricerca delle scienze positive che sembrano scegliere le strutture economiche e tecnologiche che “escludono il soggetto dall’ordine delle ragioni” (Levinas).
La coscienza e l’intelligenza dell’uomo diventano così solo un’utile opportunità di cui si servono le strutture economiche e tecnologiche per manifestarsi e per connettersi in sistema. L’uomo non cerca o conquista la verità, è la “verità” che prende possesso dell’uomo e ne ha bisogno per palesarsi, ma in questa verità non c’è più nulla di umano.
La soggettività umana diventa illusoria, l’autocoscienza svanisce per il gioco perverso di pulsioni o di linguaggi che dissolvono l’identità della persona. La persona umana diventa il volto finto che definisce il sé come nessuno. La soggettività umana, nell’utilità del sapere economico e tecnologico, acquisisce un ruolo in funzione di un ordine che dichiara la sua scomparsa, questa è la veridicità delle scienze positive nel loro principio metodologico.
Tuttavia la distruzione del significato profondo di umanità afferma un nuovo senso dell’umano che non può essere indifferente all’altro-da-sé, che “non riesce a nascondersi nell’incessante discorso sulla morte di Dio o sulla fine dell’uomo” (Levinas), la riduzione dell’identità umana a semplice velo pietoso del soggetto sarà impermanente davanti all’essere-per-l’altro, poiché noi siamo ciò che abbiamo coscienza di essere, e noi esistiamo perché esistono gli altri, questo è il primato della coscienza.
Il primato della coscienza espone ognuno di noi all’altro in un interminabile costituirsi del rapporto con l’altro: “prima che mi chiamino risponderò” (Isaia, 65, 24). Le strutture economiche e tecnologiche in cui l’essere umano viene disgregato, non possono prevalere sul valore “che l’uomo non abbia smesso di contare per l’uomo” (Levinas). Davanti alla nuda umanità del volto dell’altro, nella responsabilità che esso suscita non cesseremo di essere garanti del senso dell’umano poichè “io sono straniero sulla terra” (Salmo 119), e se gli uomini si cercano l’un l’altro nella condizione di stranieri perchè “nessuno è a casa propria” (Levinas) l’umanità deve risplendere nella responsabilità per gli altri in conseguenza della sua stessa sensibilità e vulnerabilità.
Gianfrancesco Caputo