I colpi mortali di Thomas Bernhard

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Alla fine tutti gli artisti si offrono e si fanno comprare dallo stato e dalle sue infami finalità politiche, e si vendono, perlopiù fin dall’inizio, a questo Stato meschino, infame e privo di ogni scrupolo morale. Il loro essere artisti non consiste in altro che nel mettersi in combutta con lo Stato, la verità è questa. Il protagonista, il narratore stesso, pensa in questo modo, seduto su una poltrona bergère a casa della coppia Auersberger che non vede da vent’anni e di cui è ospite in occasione di una “cena artistica” offerta come pretesto e a seguito della rappresentazione dell’Anitra selvatica di Ibsen al Burgtheater di Vienna.

Tutto il romanzo, A colpi d’ascia di Thomas Bernhard non è altro che una lucida e spietata farneticazione, sproloquio o lunga riflessione di ciò che il protagonista vede e ascolta ma, soprattutto, di ciò che pensa di un mondo intellettuale inconsistente e pretenzioso. La cena è solo il momento, l’avvenimento. La scusa per ricordare e descrivere quel condensato di disumanità e di fallimenti che è proprio di una continua messinscena.

Seduto in anticamera e in disparte nella sua poltrona e poi seduto a tavola, il protagonista e scrittore, con un linguaggio ineguagliabile quanto ossessivo e pletorico, non fa altro che descriverci minuziosamente tutti i personaggi che lui aveva frequentato e di cui egli stesso era stato un tempo ben compiaciuto di frequentare, pensando che loro stessi fossero il meglio per lui, e lui stesso fosse il meglio per loro.

E che lui per evitare di rimanerne impantanato si era dato alla fuga, quel desiderio di diserzione e tradimento e nello stesso tempo un tentativo di liberazione dalla mollezza, un desiderio di mettersi in salvo dalla consuetudine e dalla sterile pretenziosità di riservarsi un posto nella storia. Una storia incessante di chiacchiericcio. Una storia fatta di ripugnanze e di misfatti. Di parvenze e di falsità. Che diventano poi gli orrori e i crimini della storia.

Gli stessi che il grande romanziere austriaco non farà mai a meno di riportare e biasimare. E nello stesso tempo cercherà sempre di salvarsi. Si può dire che l’impegno della sua vita sia sempre stato quello di salvarsi. Salvarsi dalla malattia, come nel bellissimo e angosciante romanzo Il respiro Salvarsi dall’arte. Dall’arte più cattiva alla più eccelsa, come in “Antichi maestri”.

Bernhard sa tenere costantemente uniti, e qui sta la sua grande arte, la verità urticante e spietata della storia con l’altra non meno dura e feroce della letteratura o delle arti in genere. Teatro. Musica. Pittura. La sua è una scrittura insistente e ciclica. Una scrittura battente. Arguta. Cinica. Irriverente. Innanzitutto, una scrittura che inevitabilmente ferisce. Intacca. Tormenta. Addolora prima lui stesso. Poi chi legge. Solo per ultimo chi ne è vittima.

Tuttavia questa sequenza può benissimo essere rovesciata. Il fondamento è colpire. La scrittura è un colpo d’ascia. Salvarsi è scrivere. Non importa che cosa, solo subito, pensavo, immediatamente scriverò qualcosa su questa cena artistica nella Gentzgasse, pensavo, immediatamente, continuavo a pensare, e intanto attraversavo di corsa il centro della città, subito e immediatamente e subito e subito, prima che sia troppo tardi.

Un gran romanzo questo di Thomas Bernhard. Un lavoro della sua maturità. Un’opera di un’attualità sconvolgente. Una feroce critica a una letteratura epigona. Una totale disapprovazione degli intellettuali che sono capaci soltanto di imbrogliare i giovani e di estorcere denaro ai ministeri. Una letteratura, quella di Thomas Bernhard, che è la coscienza stessa della letteratura. Una letteratura, quella di Bernhard, che è sempre avversa. Che non invita al riposo. Una letteratura contro ogni forma di paludamento e di buone maniere. Nessun vestimento. Nessun parametro di copertura. Nessuna speranza. La verità è respingente. Thomas Bernhard ce la offre a dosi massicce.    

 Salvatore Marrazzo

(Thomas Bernhard, A colpi d’ascia, Adelphi, 1990)

                

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