Paola Malavasi la sua poesia sempre viva

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Ho sempre pensato che quando si spegne un poeta si oscurano le ragioni del cuore.  La notizia della morte improvvisa di Paola Malavasi (che aveva compiuto da poco quarant’anni)  il 18 settembre 2005 a Venezia, alimentò nella mia mente questo triste pensiero. Incredulo mi trovai in solitudine a  piangere un’amica, e a meditare sui meccanismi assurdi di questa esistenza precaria a cui siamo legati da un esile filo.

Chi era Paola Malavasi? Una poetessa dall’animo gentile, che ha fatto della scrittura un metodo di indagine introspettivo teso a svelare i misteri dell’anima. Anche nella sua attività di giornalista(Paola collaborava con le pagine culturali dell’ “Avvenire”, “Stilos”,e “Poesia”) si è dimostrata un’acuta intelligenza fuori dal comune, sensibile ai cambiamenti capaci di apportare nella letteratura  notevoli e interessanti novità.

Il modo migliore per ricordarla sempre è entrare dentro l’energia cosmica e la ricerca interiore della sua poesia. Dentro la poesia di Paola Malavasi troviamo una mistica del dolore umano, raccontato per immagini liriche. Un dolore vissuto come emblematico mistero, che fa parte delle nostre vite. Paola, nei suoi versi profondi, non ha mai avuto paura  di interrogare quel dolore che sgorga dal cuore, con la stessa fluidità misteriosa con cui la passione incatena le nostre singole esistenze al complesso mondo degli affetti.

È  stato scritto che la  poesia di Paola Malavasi conduce per mano alla ricerca dell’origine delle cose, attraverso una voce che nasce dal felice incontro dell’interiorità individuale femminile con l’energia cosmica che pervade il creato. I suoi versi generano immagini mai scontate e dense  che scrutano il filo misterioso degli accadimenti che interessano i «i minuti della storia» della nostra fragile esistenza.

La poesia di Paola è uno di quei rari momenti di verità di cui abbiamo  bisogno per esorcizzare il falso dell’avversario che incontriamo  ogni giorno dentro e fuori di noi. Ascoltiamola: «Se muoversi è vivere/ferma sulla sedia in faccia al mare/la mia è una quieta morte./Come pietra non conto le onde /che si infrangono./Come gli uccelli,non mi importa/quanti decenni vedrò / ma quanto sono larghe le mie ali./Nella memoria restano le imprese, / però la storia è un divenire di stelle./ I germogli fioriscono incuranti./ Dopo un attimo di piacere/ospito la vita:al figlio che ho in grembo/rimbocco la prima coperta/calando la mano sulla pancia./Le azioni sono assalti a granai svuotati./Per questo il mio tempo accorda il corpo/agli umori della terra./ Soffia distruzione sulle mura./Mi vincono il ritmo del cuore/e il respiro che separa l’eruzione / dalla nascita del monte».

Adesso che Paola non c’è più leggo e rileggo questi versi che più di ogni altra cosa ritraggono la sua intelligenza e la sua profonda umanità. Due qualità  che continueranno a rinnovarsi nei cuori  di chi la ha conosciuta o solo letta, grazie alla sua poesia che sopravvive eterna al nostro comune transito terrestre.

A noi esseri umani ci è stato chiesto di non tradire mai la vita. Ma in alcuni casi, senza che ci venga fornita alcuna spiegazione, è la vita che tradisce noi.

A distanza di anni è doveroso continuare a leggere la poesia in carne e ossa (Le altre e A questo servono le lacrime, editi entrambi da Interlinea) di Paola Malavasi, una voce poetica autentica spezzata troppo presto da uno strano scherzo del destino che si chiama morte.

Nicola Vacca

 

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